Erano passate al massimo tre ore dall’annuncio che il referendum si svolgerà il 4 dicembre, che il premier Renzi ha scelto le telecamere di Quinta Colonna, su Rete4, l’ammiraglia del berlusconismo, per dare avvio alla sua campagna elettorale.
Niente viene mai lasciato al caso, quando si tratta di comunicazione, dalle parti del presidente del Consiglio. Ecco perché andare in casa di Berlusconi, nella rete più seguita dagli elettori del Cav e con un pubblico a maggioranza di anziani e pensionati. E proprio davanti a quella platea, prima ha detto che la ricetta per risolvere il fenomeno immigrazione è quella di “aiutarli a casa loro”, ma l’Europa non lo capisce, argomenti tipici e chiave del centrodestra, poi ha annunciato i prossimi provvedimenti della Legge di stabilità 2017 in materia di pensioni, rispolverando la formula degli 80 euro, come accadde nel 2014 alla vigilia delle elezioni europee. Provvedimenti ovviamente favorevoli alla categoria più nutrita del pubblico di Rete4.
Per prima cosa le minime delle cosiddette “quattordicesime” saranno raddoppiate a chi prende fino a 750 euro al mese. Si tratta della maggioranza dei pensionati, ma Renzi dice di voler estendere il beneficio fino alla soglia dei 1.000 euro, modulando il tono della voce a seconda della frase pronunciata: alto quando ha parlato dell’obiettivo, bassa e a mezza bocca quando ha specificato che non c’è alcuna certezza, perché dipenderà dalla discussione in Consiglio dei ministri, che partirà da ottobre, e soprattutto da come il testo sarà stravolto dal Parlamento.
Secondo annuncio: la misura per i pensionamenti anticipati, la cosiddetta Ape, ci sarà nella legge di bilancio. Chi è a uno, due o tre anni dall’uscita dal mondo del lavoro e non vuole aspettare, potrà andar via con una perdita del 5% di quello che gli sarebbe spettato. Ma – e qui arriva l’annuncio nuovo, quello a sorpresa – chi accudisce un parente disabile, chi è disoccupato (dunque anche gli esodati) e chi ha svolto lavori particolarmente usuranti dovrà rinunciare solo all’1% della propria pensione.
Modalità, tempistiche e cifre, però, non le elenca: il premier va per titoli e spedisce la palla nella metà campo del Cdm e di Camera e Senato.
Finito il blocco di domande sulle pensioni si arriva al referendum. Renzi non entra mai nel merito della riforma costituzionale ma si limita, con tanto di lavagnetta e battuta (“non mi date la scrivania sennò sono come quell’altro”), a elencare una serie di risparmi che sfondano la soglia dei 600 milioni di euro, nonostante la ragioneria centrale dello Stato e gli uffici studi del Senato abbiamo già calcolato una contrazione dei costi al massimo di 50 milioni l’anno. Poca roba, insomma.
Il presidente del Consiglio ci mette tutto nell’elenco dei tagli: dagli stipendi ai senatori ai rimborsi per i gruppi politici, dalle spese per le sedute all’indotto di tutto quello che ruota a Palazzo Madama. Poi, con la zampata finale, ammette che la legge Delrio per la cancellazione delle Province è una colossale bufala, perché in Costituzione gli enti intermedi esistono ancora e costano, e dice che nella sua riforma verranno definitivamente archiviate, evitando così altri trasferimenti di denari (350 milioni l’anno) dallo Stato centrale. Peccato, però, che quei soldi non vadano più alle Province come dice Renzi, ma siano stati soltanto spostati alle aree metropolitane. Dunque, si tratta solo di maquillage contabile.
Esaurito il discorso sulle mosse comunicative del premier, resta in piedi la polemica scatenata dalle opposizioni sulla data del referendum. Il 4 dicembre era praticamente l’ultima utile a disposizione della maggioranza, che in questo modo si prende tutto il tempo per cercare di recuperare terreno, visto che i sondaggi danno in vantaggio i “no” sui “sì”, anche se non di 10 punti come sostiene il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta.
“Non c’è un motivo particolare alla base della scelta del 4 dicembre”, ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, lasciato solo dal premier in conferenza stampa post Consiglio. “In ogni caso – ha aggiunto il luogotenente di Renzi – ci sembra che ci sia il tempo per sviluppare e approfondire un confronto tra i cittadini sui contenuti della riforma costituzionale che è il tema chiave: è una scelta che riguarda il funzionamento delle istituzioni”.
La versione del capo del governo Renzi è arrivata per mail, con la sua E-News, in cui ha usato toni apocalittici: “La partita è qui e ora. Questa Italia deve cambiare, non può rimanere ostaggio dei soliti noti, della solita palude che ha bloccato la crescita dell’ultimo ventennio”.
Le opposizioni, naturalmente, hanno dato avvio anche alla loro campagna elettorale ufficiale per il no. Dalla Lega al M55, il coro è stato unanime. “Il 4 dicembre #iovotono per licenziare Renzi!”, ha scritto su Facebook il leader del Carroccio, Matteo Salvini. Massimo D’Alema, a Ercolano per inaugurare il comitato per il no, ha invece commentato: “Se perde credo che Renzi non se ne andrà. Forse se prende una sveglia sarà un po’ meno arrogante”.
Il Movimento 5 Stelle ha usato toni istituzionali, ma non meno pesanti: “È grave che Renzi abbia scelto la data senza consultarsi con le opposizioni. Ed è altrettanto grave e vergognoso che abbia negato ai cittadini la possibilità di esprimersi su un tema così delicato e importante, facendo un’indegna melina”.
A spegnere i toni, e provare a dare una mano indiretta ai “sì”, è poi intervenuta la Cei, con un appello: “Il Paese – ha ricordato il cardinal Bagnasco – è atteso per un importante appuntamento, il referendum sulla Costituzione. Come sempre, quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi esercitando la propria sovranità, il nostro invito è di informarsi personalmente, al fine di avere chiari tutti gli elementi di giudizio circa la posta in gioco e le sue durature conseguenze”. La partita è comunicata, e fino al 4 dicembre sarà lunga e senza esclusione di colpi.
robyuankenobi
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