Renzi: ‘elezioni a giugno 2017 o febbraio 2018’. E poi? “Ho offerte di ogni genere”

“O si vota a giugno o si vota a febbraio del 2018. Io non spingo per una soluzione preordinata. Ma se non votiamo a giugno avremo due rogne …

“O si vota a giugno o si vota a febbraio del 2018. Io non spingo per una soluzione preordinata. Ma se non votiamo a giugno avremo due rogne grandi così”. Uno scenario a due binari si para davanti a Matteo Renzi, disegnato oggi da Goffredo De Marchis in un articolo su Repubblica.
Un retroscena che è più un’analisi su quello che è il dilemma a cui si trova di fronte l’ex peremier. “Se non votiamo a giugno, avremo due rogne grandi così”, ragiona il segretario dem secondo il quotidiano di via Cristoforo Colombo.
“Si scatenerà una campagna furibonda sui parlamentari attaccati alla poltrona per prendere il vitalizio che scatta a settembre. Campagna impossibile da arginare. L’altra rogna è lo svolgimento del referendum sul Jobs act, che può diventare il secondo tempo del voto sulla riforma costituzionale”, si legge.
Secondo il quotidiano romano le ultime percentuali di democratici favorevoli ad arrivare alla fine della legislatura è altissimo: l’80 per cento del gruppo, “un numero capace di far saltare il piano sul voto al più presto”.
E così viene avanzata anche l’ipotesi più estrema: un abbandono di Renzi. “Ho offerte di ogni genere. È abbastanza normale dopo tre anni passati a Palazzo Chigi. Anche economicamente sono interessanti, ovvio – scrive Repubblica -. Da un lato quindi mi sembra naturale pensare: ma cavolo, c’è gente che mi fa la corte e mi offre un buon lavoro e dall’altro lato la politica, i commentatori e i giornali non mi riconoscono niente. Poi penso: ho la responsabilità di tanta gente che crede nel Pd e mollo tutto non lo posso dire”.
Intanto il premier sta scrivendo un libro e cambierà editore (verrà pubblicato da Feltrinelli). Nell’articolo si descrive un Renzi amareggiato: “Sta coi figli, domenica tornerà a Roma per l’assemblea nazionale del Pd. Ma non ha smaltito il referendum e l’amarezza del dopo.
“Continuano ad attaccare me anche adesso che sono in mezzo alle colline. Non lo capisco. Nessuno ricorda cosa abbiamo fatto in mille giorni, robe mai fatte in dieci anni. E non c’è uno che mi renda almeno l’onore delle armi”. Di mezzo, in verità, c’è il referendum, «la botta» fortissima presa da Renzi il 4 dicembre. Ma il segretario del Pd pensa che la base per ripartire esiste. Sta proprio nel risultato referendario”.
Secondo Repubblica, l’opinione diffusa tra i fedelissimi dell’ex premier è che “il Pd di Renzi nei sondaggi sfiora ancora il 31 per cento. Nel 40 per cento del Sì almeno il 33 per cento è nostro. Mentre nel 60 per cento del No quanto è di Grillo? Il 25 per cento, non di più. Non la pensano allo stesso modo nel Partito democratico. Ed è un’opinione diffusa.
La scelta del governo fotocopia, la resistenza del Giglio magico fa perdere migliaia di voti”. In ogni caso, conclude De Marchis, “Renzi confida agli amici-deputati che “certo, lo so, il clima, quando è stato presentato il nostro governo, era migliore. Ma capisco: con il ritorno del proporzionale rivive l’inciucio, le correnti, i capicorrente, tutto quello che volevamo evitare prende forma”. Per questo il segretario ha segnato una data sul calendario, domenica 11 giugno. La data del voto anticipato”. (AGI)
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