Da circa una settimana si è conclusa l’assemblea della Banca mondiale e del Fondo monetario, al Museo de la Naciòn di Lima. La stampa italiana ha riferito quasi soltanto del (leggero) miglioramento della situazione italiana nel discorso del ministro dell’Economia e delle Finan- ze Pier Carlo Padoan e degli avvertimenti sul debito lanciati dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.
Se si legge con attenzione la stampa straniera e soprattutto il Global Financial Stability Report, il tono appare differente. I grandi banchieri, pubblici e privati, sono preoccupati della «vulnerabilità » (del sistema finanziario), della «eredità» (di debiti e squilibri), delle «sfide» di politica economica internazionale (di fronte a noi) e dai «rischi» provenienti dai mercati emergenti.
Il pericolo principale è il riflusso di capitali: soldi che, partiti alla volta dei Paesi emergenti quando in Europa ed in Nord America i rendimenti erano considerati troppo bassi, stanno tornando velocemente, soprattutto in Nord America, sia in cerca di maggiore qualità sia per l’aspettativa dell’aumento, a breve, dei tassi d’interesse Usa. Capitali andati dall’Eurozona ai mercati emergenti volano anch’essi verso il Nord America, dato che l’area dell’euro appare iper-indebitata, debole e litigiosa.
Cosa significa tutto questo per noi? Il debito pubblico italiano (in rapporto al Pil) è il terzo più alto al mondo, ma la prima fonte di preoccupazione, perché quello della Grecia è tenuto a bada da un vero e proprio commissariamento della politica economica e quello del Giappone è essenzialmente interno. Il nostro debito sovrano è in gran parte detenuto da banche italiane (spesso in urgente bisogno di aumenti di capitali), ma oltre un terzo è in mano a istituti (e privati) stranieri. Fibrillazioni internazionali potrebbero mettere a repentaglio una ‘sostenibilità’ con i piedi d’argilla, ossia fragile.
di Giuseppe Pennisi
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato su Patrikpen