C’è uno spettro che si aggira per l’Europa. Non è quello del comunismo né, come potrebbe sembrare, quello dell’euro. Stretto nella morsa, roso dai dubbi, tentato da quell’ambiguo modo d’essere che pure fa parte della storia d’Italia, e tanto fa arrabbiare alleati e nemici (o viceversa, perché spesso s’invertono). Così descrivono il premier Matteo Renzi, isolato sul fronte europeo quanto su quello interno, arroccato nella furbizia tipica del «non mi schiero apertamente».
Ricorre perciò alla più stantia delle figure retoriche usate in questi anni di rottamazioni, quella del «derby dracma-euro», il nuovo Badoglio che ha il terrore di disobbedire alla Merkel ma non vuole neppure lasciare libera la prateria anti-euro allo schieramento pro-Tsipras. Tifoseria che unisce, nel nome della lotta all’insostenibile Europa dei padroni e dei lacchè, l’intera minoranza del Pd, i fuoriusciti Civati e Fassina, lo scatenato Beppe Grillo, il ruspante Matteo Salvini, per finire al capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, e ai tanti che, nel centrodestra, vedono «Atene implodere mentre Renzi e Padoan non fanno nulla», tanto per usare le parole della Santanché.
L’Italia è assente, debole, preoccupante. «Renzi non abbandoni la Grecia e venga a riferire in Parlamento», chiede la Polverini. Ma dal premier, isolato come non mai, giungono solo vaghe, anzi smorte, linee d’ombra. Il solito tweet, in inglese stavolta: «Il referendum greco non sarà un derby tra Commissione europea Tsipras, ma euro contro dracma. Questa la scelta».
Al mattino il portavoce Sensi aveva smentito l’indiscrezione di una frase assai offensiva per il governo di Atene: «Spero che il popolo greco dimostri maggiore saggezza del suo governo e accetti la proposta ragionevole che gli è stata fatta». Una ragionevolezza che l’ex oppositore interno Fassina quantifica nel dettaglio, spiegando come il generoso memorandum vorrebbe dire, per l’Italia, circa 70 miliardi di minori spese o maggiori imposte in 12 mesi e un taglio da subito di 18 miliardi l’anno sulle pensioni.
Al confronto, nota Fassina, «la ferocia e l’iniquità delle norme Fornero sono stati una carezza, le tre manovre del 2011 una passeggiata di salute». Fassina denuncia l’«imbarazzante marginalità del governo italiano» di fronte alla scelta politica della Ue di voler provocare «l’umiliazione di Tsipras, che accettando avrebbe perso ogni credibilità politica e sarebbe caduto, facendo tornare in auge i maggiordomi al servizio della Germania e dell’aristocrazia finanziaria europea».
Il problema della «subalternità alla Merkel» è molto sentito all’interno del Pd, e Cuperlo invoca un’irrealistica mediazione renziana per riaprire la trattativa. Il premier sarà dalla Merkel domani, ma è escluso che prenda le parti di Tsipras, dopo che per tutti questi mesi – dalla visita a Roma del leader greco in febbraio, quando Renzi rifiutò platealmente di unirsi a un fronte mediterraneo anti-austerità – mai ha mostrato vera solidarietà al dramma di Atene. A preoccupare Matteo non è il pianto greco, bensì le ripercussioni in Italia. Meglio sparire, allora: tra beccamorto e ribelle è di gran lunga preferibile la lieve giocondità della bandiera al vento. Pardon, bandieruola.
di Roberto Scafuri
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Giornale