Quattro obiettivi e un incoraggiamento. Il primo ministro britannico David Cameron spedisce al presidente Ue Donald Tusk la lista delle richieste britanniche da negoziare con i partners in vista del referendum sull’adesione britannica all’Unione e accompagna la lettera alternando toni ottimistici a già noti altolà. «Missione impossibile? Assolutamente no se ci sarà volontà politica e immaginazione… ma se le nostre legittime richieste sbatteranno contro la sordità dei nostri interlocutori la Gran Bretagna valuterà se l’adesione alla Ue è davvero vantaggiosa». In altre parole Downing street deciderà se sollecitare il “no” all’adesione.
È l’ avvertimento ai partner di un primo ministro deciso, in realtà, a battersi per il “si” all’Unione ma sulla base di quattro punti già delineati e in queste ore ribaditi formalmente. Londra chiede:
1) L’opt-out, cioè la possibilità di chiamarsi fuori, dalla clausola dei Trattati che prevede la partecipazione a un’Unione «sempre più stretta».
2) Sollecita tutele per i Paesi che non partecipano all’Eurozona con il formale riconoscimento che il mercato unico è “multicurrency”, in altre parole che la sterlina potrà godere delle analoghe condizioni di cui godrà l’euro anche quando i Paesi a divisa comune si saranno integrati ulteriormente;
3) Torna a invocare quella «sussidiarietà» che dai tempi di Maastricht resta la parola magica inglese e lo fa rivendicando un maggiore ruolo dei parlamenti nazionali. «Mi rendo conto – ha detto il premier evocando di fatto il meccanismo del “cartellino rosso” – che un veto potrebbe portare alla paralisi» ma gruppi di parlamenti nazionali, a suo avviso, devono avere il potere di correggere la legislazione comunitaria.
4) Il quarto punto è l’annosa questione dell’accesso al welfare da parte degli immigrati intracomunitari. Londra – ha ribadito ieri il premier considerando la richiesta “non negoziabile” – sollecita una sospensione di quattro anni prima del pieno accesso ai benefici e sussidi dello stato sociale per un cittadino non inglese. In realtà, la Gran Bretagna sarebbe disponibile a estendere le stesse limitazioni ai britannici che rientrano in patria dopo aver vissutro all’estero.
Un passaggio che renderebbe meno discriminatoria la clausola invocata da Londra. La lettera a Donald Tusk si completa con l’esortazione a rendere la Ue più competitiva e meno burocratica grazie anche al completamento del mercato interno.
Con la formalizzazione delle domande britanniche il processo che rischia di portare alla Brexit è ormai incardinato. Sarà il piatto forte del summit di Bruxelles a metà dicembre: dall’esito del negoziato dipenderà l’andamento del referendum destinato a tenersi, probabilmente, fra giugno e dicembre 2016, in un Paese che resta spaccato fra favorevoli e contrari come mai prima d’ora.
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da Il Sole 24 Ore