Assieme alla Turchia, è l’Arabia saudita ad appoggiare il fronte anti-Assad, comprese quelle formazioni che la Russia non accetta come “moderate” e quindi nel mirino dei raid, a cominciare da al Nusra.
Russia e Usa si consultano di nuovo sulle prospettive di un cessate il fuoco in Siria che non entrerà comunque in vigore oggi, come avevano invece concordato le grandi potenze a Monaco una settimana fa. E neppure nei prossimi giorni, a giudicare dalle dichiarazioni russe e dalla situazione sul terreno, con la battaglia decisiva alle porte: quella di Aleppo.
A Ginevra da ieri “sono iniziate consultazioni intensive tra delegazioni della Federazione russa e degli Stati Uniti, con la partecipazione di rappresentanti dei ministeri degli Esteri e della Difesa, oltre a esperti e specialisti – ha reso noto il ministero degli Esteri russo. “L’obiettivo comune di tali consultazioni è il cessate il fuoco tra siriani, in modo da concentrare l’attenzione su un’unione di forze nella lotta contro il nemico comune, ovvero i terroristi di Al Nusra e Stato islamico”, ha detto all’agenzia Sputnik il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov.
Una dichiarazione che in pratica già contiene il ‘niet’ di Mosca a interrompere i raid aerei in Siria. Anzi, la Russia rilancia: “per la lotta al terrorismo non bisogna interrompere questi raid, ma arrivare a un maggiore coordinamento degli interventi aerei e a terra”, con la coalizione internazionale a guida Usa. I risultati delle consultazioni odierne in Svizzera, sempre secondo Bogdanov, saranno noti stasera e poi presentati al “focus group” dei Paesi che già avevano discusso la settimana scorsa la possibilità di una tregua. Contemporaneamente, Mosca spinge per riprendere i colloqui di pace a Ginevra “al più presto”, anche se la data in teoria in agenda, il 25 febbraio, è stata oggi dichiarata irrealistica dall’inviato speciale Onu Staffan De Mistura.
Alle prossime consultazioni d’altronde la Russia conta di arrivare con una vittoria de facto sul terreno consegnata all’alleato Bashar al Assad. Per l’esercito governativo siriano l’ultimo bastione dell’opposizione da abbattere è Aleppo, già circondata e con le zone ad Est in mano ai ribelli collegate ormai alla Turchia da una sola strada, da giorni sotto il fuoco dei raid russi e siriani. Ma se l’assedio vero e proprio sembra questione di ore, la presa della città non sarà facile: secondo alcuni attivisti in contatto con le milizie anti-Assad, Aleppo può resistere mesi, “anche oltre un anno”.
I gruppi armati all’opposizione stanno stoccando armi e provviste, per tentare di resistere il più a lungo possibile. Mentre a Gaziantep, in Turchia, le Ong si mobilitano per organizzare l’invio di derrate alimentari: nella città siriana ridotta in rovine abitano ancora tra 250mila e 300mila persone, troppo povere per fuggire o che hanno scelto di restare e vivere l’ultimo atto della “rivoluzione” contro Assad. “L’assedio da parte delle forze di regime non è ancora completo, resta un accesso da Ovest che viene chiamato via del Castello. Anche se è preso di mira da tutte le parti e dunque è molto pericoloso”, ha spiegato Assad Al Achi, direttore dell’Organizzzione non governativa Baytna Syria.
“Può essere tagliato in qualsiasi momento, ma un amico che è stato ad Aleppo due giorni fa mi ha detto che i preparativi fervono, in attesa di un vero e proprio assedio”. Il Consiglio locale di Aleppo ha creato una struttura di emergenza per prepararsi al blocco totale della città. “In caso venga imposto un assedio completo, Aleppo può resistere almeno un anno, forse più”, sempre secondo Al Achi. La via del Castello serve agli insorti per raggiungere l’altro bastione ribelle nel Nord-Ovest siriano, Idlib, e portare ad Aleppo armi, munizioni, cibo, medicine. “Non andrà come ad Homs”, dice Manhal Bareesh, oppositore siriano, ex membro di un effimero governo provvisorio tentato dagli insorti. Homs ha resistito tre anni e poi ha capitolato.
Ad Aleppo, sostiene l’esponente di un fronte anti-Assad che con Aleppo si gioca probabilmente l’ultima carta, “le zone ribelli sono più ampie e meglio difese. Stanno scavando vie semi-sotterranee, trincee, tunnel per potere continuare a circolare. La speranza degli insorti è la Turchia, che “farà di tutto per mandare rifornimenti”, assicura Bareesh, secondo cui i russi hanno già lanciato oltre 2.000 raid sulle posizioni ribelli. Assieme alla Turchia, è l’Arabia saudita ad appoggiare il fronte anti-Assad, comprese quelle formazioni che la Russia non accetta come “moderate” e quindi nel mirino dei raid, a cominciare da al Nusra.
Mosca sa che senza Riad, anche Ankara dovrà rinunciare e non a caso oggi il presidente Vladimir Putin ha parlato al telefono con il re Salman bin Abdulaziz Al Saud. Dopo la conversazione, solo un laconico comunicato: Russia e Arabia Saudita “sono interessate ad una soluzione della crisi in Siria, a promuovere stabilità e sicurezza in tutta la regione mediorientale e dell’Africa settentrionale”. Il capo del Cremlino ha anche invitato il monarca saudita a recarsi a Mosca, “in qualsiasi momento vorrà”. (Askanews)