L’Arabia Saudita esegue la condanna a morte di un imam sciita, ma dal dipartito di Stato americano non arriva una ferma condanna. Duro il “Washington Post”: “Obama pensa a preservare l’accordo sul nucleare con l’Iran”.
L’esecuzione di un noto chierico sciita da parte dell’Arabia Saudita, la scorsa settimana, ha causato come prevedibile un’ondata di pericolo settarismo attraverso un Medio Oriente già infiammato dalle crisi. Meno palese, ma certamente meno scusabile, scrive l’opinionista Jackson Diehl sulla “Washington Post” – è il fatto che quegli eventi abbiano innescato uno scontro settario anche all’interno della politica Usa.
I Repubblicani “sono accorsi a giustificare o addirittura difendere la sconsiderata uccisione (da parte di Riad, ndr) di un imam la cui unica colpa è stata quella di parlare in difesa della minoranza sciita oppressa”. L’amministrazione Obama, pur se col massimo della cautela, è parsa invece tendere dalla parte dell’Iran, il cui governo ha comunque consentito l’assalto dell’ambasciata saudita a Teheran. Il dipartimento di Stato ha evitato di far riferimento all’incidente ed ha assunto una posizione di equidistanza, “uno sviluppo straordinario dati i decenni di alleanza con l’Arabia Saudita e di inimicizia con la Repubblica islamica”.
È apparso subito con chiarezza, secondo Diehl, che l’unica priorità della Casa Bianca è quella di preservare la tenuta dell’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano. Tanto la posizione espressa dai Repubblicani, tanto quella esibita dall’amministrazione presidenziale democratica, avverte l’opinionista, sono “pericolosamente miopi”: i primi stanno incoraggiando un regime che agisce in maniera del tutto sregolata sin dalla successione al trono dello scorso anno, con l’ascesa del re 80 enne Salman e del figlio 30 enne Mohammed, nominato ministro della Difesa; Riad, accusa Diehl, ha lanciato “un’avventura militare sanguinosa e invincibile in Yemen a spese del contrasto allo Stato islamico, ed ha inasprito la soppressione del dissenso domestico, specie quello di orientamento liberale”.
L’amministrazione Obama, di contro, si è del tutto arresa al programma missilistico iraniano, al punto di accettare provocazioni come il test del missile a lungo raggio condotto da Teheran il mese scorso.
Teheran condanna le 47 esecuzioni di Riad
Il “New York Times” ospita in primo piano il durissimo atto d’accusa rivolto all’Arabia Saudita dal ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. L’esecuzione di 47 dissidenti sciiti da parte di Riad, accusa il ministro iraniano, è giunta proprio mentre il mondo celebrava l’implementazione dell’accordo internazionale sul programma nucleare di Teheran che si presenta come importantissimo fattore di stabilizzazione della Regione mediorientale.
L’Iran, afferma il ministro, ha moltiplicato sin dall’elezione del presidente Hassan Rouhani gli sforzi tesi a conseguire “un rapporto amichevole coi vicini, la pace e la stabilità regionale e la cooperazione globale”, anche introducendo l’iniziativa del “World Against Violence and Extremism” (Wave) approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’Arabia Saudita, invece, ha scelto secondo Zarif di reagire all’accordo sul nucleare siglato lo scorso luglio “consacrando le sue risorse all’obiettivo di abbattere l’accordo, nel timore che la sua retorica iranofobica possa sgretolarsi”. Alcuni degli attori più influenti di Riad, accusa il ministro iraniano, “non soltanto impediscono la normalizzazione, ma sono determinati a trascinare l’intera regione in un confronto”: “L’Arabia Saudita sembra temere che la rimozione della cortina fumogena costituita dalla questione nucleare possa esporre al mondo la vera minaccia globale: il suo sostegno attivo all’estremismo violento”. Il ministro iraniano accusa Riad di “barbarie”, citando le esecuzioni tramite decapitazione – così sono stati uccisi anche i dissidenti sciiti, incluso il chierico Sheikh Nimr al Nimr – “così come all’estero uomini mascherati mozzano teste coi loro coltelli”. Non va dimenticato, secondo Zarif, che “i responsabili di molti atti di terrore, dagli orrori dell’11 settembre alla sparatoria di San Bernardino (…) oltre alla quasi totalità degli appartenenti a gruppi terroristici come al Qaeda o al Nusra, sono sauditi o personaggi cui è stato lavato il cervello dai demagoghi finanziati da petroldollari”. Dalle pagine del quotidiano Usa, il ministro iraniano accusa dunque l’Arabia Saudita di puntare a far deragliare l’accordo sul nucleare iraniano e a “perpetuare ed addirittura esacerbare” le tensioni in Medio Oriente in tre modi: “La pressione sull’Occidente, la promozione dell’instabilità regionale con guerre come quella in Yemen e la sponsorship del terrorismo, e le provocazioni dirette nei confronti dell’Iran”. Quanto all’assalto dei manifestanti iraniani all’ambasciata saudita a Teheran, la scorsa settimana, Zarif afferma che le autorità del paese “hanno condannato inequivocabilmente l’assalto ed hanno garantito l’incolumità del corpo diplomatico (saudita, ndr)”. Di contro, sostiene Zarif, “il governo saudita e le sue emanazioni hanno bersagliato per tre anni le infrastrutture diplomatiche iraniane in Yemen, Libano e Pakistan uccidendo diplomatici e civili locali”. Le provocazioni a Teheran, però, sarebbero ben più numerose: “I pellegrini iraniani in Arabia Saudita sono costante bersaglio di maltrattamenti (…) senza parlare delle pratiche ormai routinarie dell’incitazione all’odio contro l’Iran e i musulmani sciiti in generale da parte dei predicatori di Stato sauditi”. Teheran “ha sempre rifiutato di reagire con una rappresaglia o una rottura delle relazioni diplomatiche. (…) Ora la scelta spetta alla leadership saudita: continuare a sostenere l’estremismo e promuovere l’odio settario, o giocare un ruolo costruttivo per la stabilità regionale”.