Dopo Los Angeles, Toronto e New York, ha già ha deciso di estendersi ad altre nove città degli Stati Uniti e una dozzina nel mondo, tra cui Parigi e Melbourne.
Il cibo consegnato a domicilio non poteva che far gola a tanti. Un affare, senza dubbio: così non fosse, non sarebbe stato fiutato da grandi nomi come Amazon e Uber, che oggi cercano di rubare quote di mercato a una concorrenza troppo debole. La guerra è aperta, la prima vittima c’è già: SpoonRocket, che martedì ha annunciato la chiusura perché incapace di far tornare i conti. Non perché il settore non prometta bene: al contrario. Ma dinnanzi ai giganti è difficile sopravvivere. Uber, per esempio, non sta perdendo tempo: approdata solo di recente nell’ambiente, con un servizio inizialmente limitato a Los Angeles e Toronto, già ha deciso di estendersi ad altre nove città degli Stati Uniti e una dozzina nel mondo, Parigi e Melbourne in primis.
Una scelta che giunge in un momento in cui si sta raffreddando la voglia di investire, dopo un’impennata di iniziative e finanziamenti mirati fra il 2014 e il 2015. Ma il fondatore di Uber Travis Kalanick pensa in grande: vuole creare una rete che sia «come l’acqua corrente, ovunque e per chiunque». Non a caso è stata creata una nuova app dedicata esclusivamente alla consegna del cibo, dopo una partenza in cui ci si era appoggiati a quella già utilizzata per il trasporto di persone.
«Abbiamo capito che ordinare un pasto o prenotare un viaggio sono due esperienze molto diverse», ha spiegato sul suo blog Chetan Narain, product manager di UberEats. Una ulteriore minaccia per aziende Postmates, costretta a un incremento di capitale, e GrubHub, che l’anno scorso ha visto dimezzarsi il valore delle azioni.