Venezuela affamato e oppresso in piazza contro Maduro: 20 arresti alla “Presa di Caracas”

Migliaia in piazza a Caracas contro contro il presidente Nicolas Maduro. Il Venezuela è un Paese ormai ridotto alla fame, senza soldi nonostante le ricchissime risorse petrolifere, così …

Migliaia in piazza a Caracas contro contro il presidente Nicolas Maduro. Il Venezuela è un Paese ormai ridotto alla fame, senza soldi nonostante le ricchissime risorse petrolifere, così il popolo si è ribellato il 1 settembre occupando oltre 15 chilometri delle principali arterie della città, per la manifestazione convocata dall’opposizione in appoggio al referendum contro Nicolas Maduro e già definita la “Presa di Caracas”.

Per poter partecipare nella manifestazione – la più grande nel Venezuela dalle proteste del 2014, nelle quali morirono 43 persone – molti hanno dovuto aggirare i numerosi ostacoli ideati dal governo per cercare di frenare la mobilitazione. Il presidente ha attaccato duramente i leader dell’opposizione, in particolare il presidente del Parlamento, Henry Ramos Allup, minacciando di abolire la loro immunità parlamentare, ma l’opposizione ha rilanciato, promettendo altre manifestazioni il 7 e 14 settembre.

E alla fine delle proteste, il bilancio è di almeno 20 persone arrestate, dopo che gruppi di incappucciati si sono scontrati con le forze dell’ordine mentre si disperdevano le centinaia di migliaia di persone che hanno partecipato alla grande manifestazione. Un primo gruppo ha cercato di bloccare il traffico sull’autostrada Francisco Fajardo, la principale arteria che attraversa Caracas, che non faceva parte del percorso previsto per la protesta dagli organizzatori del Tavolo dell’Unità Democratica (Mud, coalizione antichavista).

Questo ha provocato l’intervento della Guardia Nacional, con lancio di lacrimogeni e camion con i cannoni d’acqua e cariche contro i manifestanti dell’opposizione, anche quelli che non si facevano parte del gruppo che aveva bloccato l’autostrada. Più tardi, nel quartiere di Chacaito (est della città) altri incappucciati hanno lanciato pietre e altri oggetti contro le forze dell’ordine intorno alla piazza Brion. La polizia ha risposto con lacrimogeni e pallettoni di gomma.

Questi incidenti isolati sono stati condannati dal Mud, che ha diffuso attraverso Twitter avvisi ai manifestanti, mettendoli in guardia sulla presenza di provocatori che volevano scontri violenti al margine di una protesta che è stata pacifica e si è svolta senza incidenti.

La manifestazione è figlia di una condizione economica e sociale ormai insostenibile in Venezuela. Secondo un recente reportage de “l’Espresso”, “Nel paese con le maggiori riserve di petrolio al mondo si muore letteralmente di fame. Il 13,4 per cento della popolazione mangia una sola volta al giorno. Gli scaffali nei supermercati sono vuoti, ma la gente aspetta lo stesso in code di ore nella speranza di rimediare latte, pollo o pannolini”.

La politica ha ovviamente enormi responsabilità. “Il crollo del prezzo del greggio è stata la ciliegina sulla torta della crescita negativa (-10 per cento l’anno scorso – peggio del Sudan e della Guinea Equatoriale), che peggiorerà, dice il Fondo Monetario Internazionale. Scendendo dai 108 dollari del 2014 a minimi di 25 dollari al barile quest’anno, la grande risorsa del paese ha messo a nudo tutti gli errori del chavismo, il movimento fondato dal militare in carriera Hugo Chávez, che ha governato il paese senza alternanza dal 1999. L’idea era progressista: sostenere i lavoratori e i poverissimi in un paese estremamente disuguale, feudo lungo tutta la sua storia di una élite economica, che era anche classe dirigente e aveva come solo riferimento economico, politico e sociale il capitalismo degli Stati Uniti”.

Così “dei progressi sociali della ‘rivoluzione bolivariana’, che fossero assistenzialistici o meno, non è rimasto niente. Ubriachi di potere, i militari si sono mangiati la gallina dalle uova d’oro: mungendo la Pdvsa a suon di 50 miliardi di dollari l’anno, hanno generosamente regalato cibo, frigoriferi e addirittura case, ma si sono scordati di investire nell’infrastruttura del petrolio. Gli impianti ora sono obsoleti e chiudono. Per produzione il Venezuela è solo 12° al mondo ed è costretto a importare greggio leggero (diluente) perché non lo produce più. Se non fosse per la Cina, che compra a prezzi stracciati ma senza troppe questioni e fornisce liquidità per pagare gli interessi sull’enorme debito dello Stato, il default ci sarebbe già stato”.

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