L’opposizione venezuelana si prepara a sfidare lo stato di emergenza decretato lunedì scorso dal governo di Caracas: numerose manifestazioni sono in programma nella capitale e in altre città per chiedere il referendum di richiamo nei confronti del presidente Nicolas Maduro.
Il decreto è stato bocciato ieri dal Parlamento – controllato dall’opposizione, e dunque la questione finirà per approdare alla Corte Suprema, che ha l’ultima parola sulla legittimità del provvedimento e che è tuttavia formata da una maggioranza di giudici nominati dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, e dunque considerati leali al governo; altrettanto leali si sono dimostrate, almeno fino ad ora, le forze armate.
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Proprio la reazione di polizia ed esercito di fronte ai manifestanti – tenendo conto degli ampi poteri di intervento previsti dallo stato di emergenza, che sospende diverse garanzie costituzionali – potrebbe infatti rivelarsi una delle chiavi della crisi politica del Paese: non a caso ieri l’opposizione ha invitato le forze armate a scegliere “se stare dalla parte della Costituzione o di Maduro”.
Al momento non vi sarebbero segnali di una maggiore presenza dell’esercito nelle strade; nelle ultime manifestazioni – tenutesi prima della firma del decreto presidenziale – la polizia non aveva esitato a usare i gas lacrimogeni per disperdere i cortei.
Senza dubbio l’appoggio delle forze armate è fondamentale per la tenuta del governo di Maduro, che può contare su due fattori favorevoli: la lealtà dei militari nei confronti di Hugo Chavez, predecessore dell’attuale presidente e padre della “Rivoluzione bolivariana”, e soprattutto il fatto che proprio le forze di sicurezza sono tra le principali beneficiarie dei programmi sociali dell’esecutivo.
Il Paese sta però attraversando una grave crisi energetica ed economica – complice la pessima gestione economica e la caduta dei prezzi del greggio è al terzo anno di recessione, aggravata da un’iperinflazione a tre cifre – che ha portato la popolarità di Maduro ai minimi storici: se i militari decidessero che è ora di voltare pagina, per il governo la situazione di complicherebbe non poco malgrado il rischio di conflitto civile insito in una crisi di questo genere.
Più semplice sarebbe nel caso favorire l’iter del referendum di richiamo di Maduro, per il quale l’opposizione ha raccolto quasi due milioni di firme: referendum che Maduro ha ieri definito “impraticabile” a causa della presenza di presunte firme false sulla petizione presentata alla Commissione elettorale, che non si è ancora peraltro pronunciata sulla questione.
La Commissione elettorale – accusata di essere fortemente legata all’esecutivo – potrebbe però iniziare la verifica formale delle firme solo alla fine di maggio, una volta scaduti i trenta giorni previsti per far circolare le petizioni e nonostante il numero minimo necessario sia già stato abbondantemente superato.
La Costituzione prevede infatti che se un referendum di richiamo venisse celebrato dopo il gennaio del 2017, in caso di successo provocherebbe un passaggio delle consegne fra Maduro e il suo vice, piuttosto che il ricorso a delle nuove elezioni come vorrebbe l’opposizione. (Askanews con fonte Afp)