Anche l’Italia mette in vendita in porti

Mentre Atene cede il porto del Pireo e di Salonicco, a Roma succede qualcosa di analogo. Estate 2015, la Grecia vende i porti del Pireo e di Salonicco. …

Mentre Atene cede il porto del Pireo e di Salonicco, a Roma succede qualcosa di analogo.

Estate 2015, la Grecia vende i porti del Pireo e di Salonicco. La stretta imposta dai creditori al governo di Atene, del resto, non lascia alternative: l’agenzia per le privatizzazioni ha stabilito la cessione dei due porti. A Roma capita qualcosa di apparentemente analogo. Lo Stato attraverso Invitalia, società controllata dal ministero dell’Economia, sta vendendo cinque porti turistici. All’asta sono finiti moli e pontili a Capri, la marina di Portisco in Costa Smeralda, la marina d’Arechi nel golfo di Salerno (un progetto da mille posti barca dell’archistar Santiago Calatrava), il porto delle Grazie a Roccella Jonica e l’area di Porto Lido a Trieste. In totale circa 2.500 posti barca disseminati lungo le più belle e conosciute coste italiane. Un patrimonio, stimato almeno 50 milioni di euro, che nei piani della società pubblica avrebbe dovuto essere valorizzato per attrarre investimenti e promuovere lo sviluppo dei porti turistici.

Il progetto avviato una decina di anni fa, aveva preso il nome di «Italia Navigando», una società controllata proprio da Invitalia, e prevedeva un massiccio intervento pubblico per realizzare una rete di 50 porti turistici e la bellezza di 50 mila posti barca. Lo Stato si faceva, insomma, carico di sviluppare un maxipolo nautico da nord a sud dell’Italia. Con un particolare occhio di riguardo proprio per le aree del meridione.

E alla presidenza di Italia Navigando nel 2010 è arrivato il leccese Ernesto Abaterusso, un ex deputato ds, legato da una lunga consuetudine con Massimo D’Alema, che quest’anno ne ha sostenuto la candidatura al consiglio regionale della Puglia. Proprio qui, nei piani di Italia Navigando, figuravano otto marine. Compresa Gallipoli, dove erano previsti 379 posti barca. I porti turistici ad Abaterusso hanno fruttato più di un grattacapo. L’ex presidente di Italia Navigando (che intanto è finita in liquidazione sepolta dai debiti) è iscritto nel registro degli indagati per la vicenda del nuovo porto della Concordia di Fiumicino, un progetto per una maximarina da 1.500 posti barca e 400 milioni di investimenti sulla costa laziale.
A luglio la procura di Civitavecchia ha chiuso le indagini sui lavori di costruzione del porto, partecipato da Italia Navigando, e sta per chiedere il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio, frode e appropriazione indebita. Nel registro degli indagati figurano anche Domenico Arcuri, attuale amministratore delegato di Invitalia, e Manlio Cerroni, dominus incontrastato nella gestione della raccolta dei rifiuti a Roma.

Quanto basta per escludere la vendita del porto della Concordia dal bando dove compaiono gli altri cinque in via di cessione. Un’operazione di dismissione che comunque, nel suo complesso, si sta rivelando disseminata di ostacoli e dubbi. Il bando fissava i termini per la presentazione delle offerte il 13 luglio, ma poi la scadenza è slittata alla fine del mese. Nel frattempo un’interrogazione parlamentare, firmata da Vincenza Bruno e Nicola Stumpo, entrambi del Pd, ha chiesto al governo di sospendere tutto. I due parlamentari contestano l’incongruenza della procedura, alla luce delle modifiche al bando introdotte in corsa da Invitalia. In particolare, Bruno e Stumpo hanno puntato l’indice contro la riserva di una quota del «31% a favore di enti e/o imprese pubbliche» fissata per il Porto di Roccella Jonica. Una modifica che ha «introdotto una limitazione di acquisto ai privati, che in sostanza si concretizza in una palese agevolazione dell’unico ente pubblico – il Comune di Roccella Jonica – interessato all’acquisto». Un corto circuito, tanto più considerato che Invitalia vende i porti motivando la scelta con l’obbligo di rispettare la norma che impone la dismissione delle partecipazioni societarie da parte degli enti pubblici. Per Roccella Jonica la norma è ancor più stringente poiché i Comuni con meno di 30 mila abitanti non possono detenere alcuna partecipazione. Ma tant’è.

A Capri a voler acquistare il 49% della partecipazione del porto in capo a Invitalia è proprio il Comune che detiene il restante 51%. Una delibera del consiglio comunale ha chiesto a Invitalia di fermare la vendita ai privati, spiegando che il Comune non li vuole come soci. Non sorprende che tra le otto buste con le offerte depositate pare esserci quella del confinante municipio di Anacapri. La privatizzazione ha, insomma, preso una rotta diversa da quella del Pireo. A farsi sotto per Portisco, una perla che attira i maxiyacht tra Porto Cervo e Porto Rotondo, dovrebbe esserci una cordata guidata da Renato Marconi. Quest’ultimo è l’ex socio di minoranza di Italia Navigando, liquidato con 16 milioni di euro dopo una battaglia legale con Invitalia. Il dubbio è sul prezzo. La concessione per Portisco scade nel 2029. Troppo breve per ripagare un investimento importante. Da qui il timore di una svendita dopo il fiasco. A scanso di equivoci Invitalia ha nominato una commissione aggiudicatrice esterna.

di Andrea Ducci

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Corriere.it

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