Mentre gli investitori continuano a incassare gli ottimi rendimenti dell’azionario globale, una fonte di preoccupazione è la volatilità estremamente bassa dei mercati, nonostante le incertezze che ancora aleggiano su diversi fronti: macroeconomia, politica e utili societari.
Questa prospettiva è dimostrata dall’indice MSCI AC World Index che ha registrato un rendimento del +6% da inizio anno e di oltre +10% dalle elezioni statunitensi[1], con un deciso slancio al rialzo, praticamente ininterrotto. La calma dei mercati è sottolineata dal calo della volatilità dei mercati azionari a livelli quasi mai visti nella storia recente.
Un aumento dei rendimenti accompagnato da un calo della volatilità è una prospettiva che fa sempre piacere agli investitori. Tuttavia, raramente costituisce un quadro sostenibile quando tocca livelli così estremi.
Per quale motivo, allora, la volatilità è diminuita? È importate sottolineare che il calo della volatilità rispecchia in parte un cambiamento molto positivo e reale nel contesto economico globale. Tra i segnali di miglioramento c’è l’aumento dell’indice globale dei responsabili degli acquisti (PMI) che, dopo una prima inversione positiva nell’estate 2016, ha raggiunto oggi i livelli tipici di una robusta accelerazione della crescita economica globale.
Gli utili societari (effettivi e previsti) hanno segnato una ripresa costante dai minimi in un momento in cui è diventato indispensabile per ciascuna società dar prova di un miglioramento, visto l’aumento delle aspettative che si sta rispecchiando rapidamente in numerose valutazioni azionarie.
Parallelamente, i tassi di interesse globali restano bassi e le politiche monetarie accomodanti. Quindi tutto sembra andare per il meglio. E allora perché andiamo in cerca di motivi per giustificare una maggiore cautela rispetto al consenso nel breve termine?
Al di là del miglioramento dei fondamentali, il movimento al rialzo dei mercati nasce anche da un clima di fiducia e speranza, generato dall’inversione del consenso che nell’arco di un anno è passato dalla disperazione all’esuberanza. Ciò risulta molto chiaro osservando il drastico cambio di direzione della fiducia tra le PMI statunitensi dopo le elezioni.
Questo cambio positivo della fiducia pare rispecchiarsi in qualche modo nei mercati azionari e affonda le radici nel miglioramento dei dati e nel potenziale impatto che il cambio di rotta delle politiche statunitensi potrebbe avere sulle prospettive di crescita USA e globali, nonostante l’amministrazione Trump non abbia ancora avanzato proposte politiche concrete.
Le implicazioni di una simile accelerazione per i segmenti ciclici del mercato azionario globale hanno determinato un’ondata di acquisti tra i titoli ciclici nel periodo post-elettorale, una tendenza contro la quale remiamo assumendo una cauta posizione contrarian.
La riforma/riduzione delle imposte, lo stimolo fiscale e la deregolamentazione hanno indubbiamente una base incentrata sulla crescita, poiché Trump sta cercando di implementare politiche in linea con le dichiarazioni fatte in campagna elettorale. Nondimeno, conserviamo una certa cautela in merito alle ripercussioni reali delle scelte politiche, se non altro per quanto riguarda le conclusioni macroeconomiche generali, che difficilmente possono essere le stesse per tutti settori.
In definitiva, quali rischi comporta la fine di un contesto di bassa volatilità e che cosa implicherebbe per i mercati azionari? Nonostante i dati recenti siano stati positivi sotto molti aspetti, è proprio questo – almeno in parte – il rischio che le azioni si trovano davanti.
Dopo la crisi finanziaria globale e anni segnati da cicli di arresti e ripartenze ed i timori e sollievi, ci troviamo in una fase in cui i dati costituiscono un punto di riferimento positivo in un periodo “favorevole”, che immancabilmente diventa difficile superare o battere. Come investitori orientati ai fondamentali ci rallegriamo delle buone notizie che arrivano su questo fronte.
Eppure, è probabile che lo slancio dell’economia a un certo punto venga meno e la nostra migliore stima è che il clima positivo che accompagna la politica statunitense probabilmente perderà un colpo, prima o poi. L’uno o l’altro di questi scenari darà corda ai ribassisti del mercato azionario che sono stati momentaneamente zittiti (o quasi).
È tuttavia importante sottolineare che, se nient’altro cambiasse, continueremmo a puntare sulle nostre azioni preferite, qualora si verificasse una simile debolezza. Restare fedeli alle nostre coraggiose convinzioni nei periodi di pessimismo è stato fondamentale in questo ormai lunghissimo e accidentato mercato rialzista. Non crediamo che questa prospettiva sia mutata.
Nel medio termine, la dispersione degli utili societari, qualora le società monetizzassero le proprie opportunità o registrassero performance deludenti in un nuovo regime di aspettative e valutazioni maggiorate, spingerà probabilmente la volatilità del mercato azionario verso livelli più “normali”.
Non si tratterebbe però di un segnale di conclusione del ciclo azionario, quanto piuttosto della normalizzazione di un periodo caratterizzato da dati e fiducia insolitamente positivi, con la creazione di nuovi punti di ingresso sia per gli investitori prudenti di breve termine sia per quelli contrarian di lungo termine.
[1] Dati aggiornati al 31 marzo 2017. Fonte: MSCI.
A cura di Scott Berg, gestore del fondo T. Rowe Price Global Growth Equity, T. Rowe Price