Lunedì nero per le Borse internazionali con Wall Street che si è lasciata alle spalle una delle sedute più volatili degli ultimi anni nonché la peggiore dal 2011. Nelle prime battute, l’indice Dow Jones è crollato oltre i 1.00o punti (1.089 punti per la precisione), record storico negativo dell’indice delle blue chips americano. Perdite solo in parte recuperate nel corso della seduta. Nel finale l’indice americano ha lasciato sul terreno 588, 47 punti – 3,58%, archiviando così la peggiore seduta in quattro anni.
Non fa meglio lo S&P 500 che, dopo una correzione iniziale superiore al 10%, è riuscita a limare il rosso a -3,94% (-77,65 punti) a 1.893,24 punti, in calo del 10% dai massimi storici toccati lo scorso 21 maggio, nonché il minimo da ottobre 2014.
Colpito e affondato anche il Nasdaq Composite: -3,82% (-179,79 punti) a 4.526 punti, dopo che in avvio aveva perso circa il 9%.
A dare il la alle vendite il nuovo crollo di Shanghai (-8,5%). L’incognita sull’imminenza e sulla dimensione di una frenata per l’economia cinese ha destabilizzato dapprima i mercati asiatici e poi le piazze azionarie continentali che hanno chiuso la seduta con perdite tra il 5% e il 6% dopo aver segnato cali anche superiori.
Piazza Affari maglia nera nell’eurozona ha visto il Ftse Mib arretrare nel finale del 5,96% a 20.450 punti, minimi da metà febbraio. Per trovare una simile débacle bisogna tornare all’agosto del 2011. Forti ribassi anche sugli altri listini: Londra chiude a -4,67%, Francoforte a -4,7% e Parigi a -5,35%. Atene termina in rosso del 10,5% ai minimi da tre anni.
Le tensioni sui mercati globali sono iniziate due settimane fa, quando la Banca centrale cinese ha svalutato a sorpresa lo yuan contro il dollaro riaccendendo i timori per un andamento della seconda economia al mondo più debole di quanto già non si pensasse. Da quella mossa – che per altro alimenta le preoccupazioni di una guerra valutaria – l’azionario globale ha mandato in fumo secondo Bloomberg oltre 5.000 miliardi di dollari di capitalizzazione.
Come se non bastasse gli investitori sono stati ancor più delusi dal fatto che Pechino non abbia adottato nuove misure nel fine settimana per fermare il sell-off, che per lo Shanghai Composite ha portato a un bilancio nell’ottava scorsa pari a un -11,5%. Trader e gestori scommettevano che le autorità cinesi fossero pronte a intervenire per difendere il livello dell’indice a quota 3.500, rotta non appena le contrattazioni erano partite oggi.
Il crollo dei listini asiatici ha fatto volare l’euro e anche lo yen, cioè le monete considerate beni rifugio: la divisa unica chiude in forte rialzo a 1,1583 dollari, ai massimi da sette mesi, dopo aver toccato un picco di seduta di 1,1711 dollari. Il biglietto verde affonda ai minimi dall’inizio dell’anno anche rispetto alla divisa nipponica, a quota 118,42 yen.
A questo punto sono in molti gli osservatori a scommettere che questo è solo l’inizio di una fase di correzione dei listini internazionali, dopo il rally ininterrotto degli ultimi anni.
Nel frattempo lo sguardo si sposta anche alle prossime manovre della Fed, uno dei principali market mover degli ultimi mesi. Dopo la carneficina delle ultime sedute, Per Mohamed El-Erian, capo economista del colosso assicurativo tedesco Allianz, “sarà molto difficile per la Federal Reserve agire a settembre (con quello che sarebbe il primo rialzo dei tassi di interesse dal 2006. La banca centrale americana) ha avuto una finestra di opportunità. Quella finestra si sta chiudendo. Non si può permettere di agire a settembre se le tensioni sui mercati continuano”.