Negli ultimi nove mesi dell’anno scorso le banche del resto del mondo hanno tagliato la loro esposizione sull’Italia di oltre 100 miliardi di dollari, un calo di quasi il 15% dei capitali investiti. È quanto emerge da un’analisi dei dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), l’istituzione di Basilea le cui quote sono detenute da tutte le principali banche centrali del pianeta.
Le cifre sull’Italia mostrano che i grandi investitori esteri hanno progressivamente venduto obbligazioni e azioni emesse nel Paese – dal governo alle imprese – e si sono liberati dei crediti o delle attività reali.
Fuga di capitali
Si tratta di una fuga di capitali a bassa intensità, rispetto a quelle tipiche di una tempesta finanziaria. Nella fase più drammatica della crisi dell’euro, fra l’estate del 2011 e quella del 2012, le banche estere ritirarono dall’Italia l’equivalente di 270 miliardi di dollari.
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Ma è impossibile sottovalutare il significato dei dati più recenti della Bri: l’anno scorso l’esposizione degli istituti del resto del mondo è scesa nettamente sotto ai minimi raggiunti a metà del 2012, nel momento peggiore della crisi del debito. Allora le banche estere erano investite in Italia per 683 miliardi di dollari (la Bri dà i dati in valuta americana), mentre alla fine dell’anno scorso la loro posizione nel complesso valeva appena 603 miliardi.
C’è un’accelerazione, in questa silenziosa ritirata, che ha tutta l’aria di essere legata agli eventi della politica: nel secondo trimestre del 2016 escono capitali bancari esteri per 32 miliardi di dollari, nel terzo per 18 miliardi e improvvisamente si allarga a 51 miliardi negli ultimi tre mesi dell’anno.
Palesemente gli osservatori sono colpiti negativamente dal naufragio in dicembre del referendum costituzionale, soprattutto quelli che guardano all’Italia dalla Francia, dalla Germania e dagli Stati Uniti. Le banche di questi tre Paesi pesano da sole per quasi due terzi di tutte le fuoriuscite nette di capitali e per quasi tre quarti con l’aggiunta di quelle del Regno Unito: circa 20 miliardi di taglio del rischio Italia per ciascuno dei gruppi di operatori francesi, tedeschi e americani, di 13 miliardi i britannici.
Diffidenza diffusa
Chiaramente dunque non c’è una cospirazione, ma una diffidenza diffusa per la direzione che sta prendendo la terza economia dell’area euro. Soprattutto il sistema bancario in Germania sembra aver maturato una sfiducia radicale.
La sua esposizione sul Paese alla fine nell’anno scorso vale poco più di un quarto dei quella delle banche francesi e ormai è scesa tanto che risulta del 30% sotto a quella che gli istituti tedeschi avevano sull’Italia al debutto dell’euro nel 1999. Nessun altro grande sistema bancario ha messo in atto una ritirata di queste proporzioni, come se l’integrazione della moneta unica non fosse neppure mai iniziata.
La perdita di cento miliardi di dollari dai grandi investitori bancari stranieri sarebbe stata un duro colpo, non fosse stato per gli acquisti di titoli italiani da parte della Banca centrale europea. Per tutto il 2016 sono continuati al ritmo di circa dieci miliardi di euro al mese, su bond societari e soprattutto su titoli sovrani.
In realtà l’uscita delle banche estere è collegata agli interventi della Bce, perché quelle ne hanno approfittato per vendere all’istituto di Francoforte buona parte dei loro titoli di Stato di Roma. Non è un caso se il debito pubblico detenuto all’estero si riduce di 42 miliardi solo nei primi nove mesi del 2016, secondo Bruegel.
L’irruzione nel mercato della Bce e la ritirata delle banche estere sono dunque due facce della stessa medaglia. Il risultato è che la stabilità finanziaria italiana diventa sempre più dipendente dal supporto di un’istituzione internazionale, che l’anno prossimo quasi certamente cesserà.
Deficit crescente
È un riflesso di questo fragile equilibrio anche il deficit crescente dell’Italia in Target2, il sistema dei pagamenti fra banche centrali europee: agli ultimi dati arriva a 416 miliardi, in buona parte proprio perché gli operatori esteri vendono i loro titoli di Stato alla Bce e poi non reinvestono in Italia. In proporzione alla taglia dell’economia, il deficit in Target2 di Grecia, Portogallo e Spagna resta comunque superiore a quello italiano.
Allo stesso modo il Paese non è il solo ad aver subito la ritirata delle banche estere nel 2016. Qualcosa di simile è accaduto anche in Spagna e in Francia, anche in quei casi con un’accelerazione negli ultimi tre mesi dell’anno; il sistema finanziario transalpino ha addirittura perso 68 miliardi fra ottobre e dicembre. Sono tutti sintomi dei dubbi sul futuro dell’euro riaffiorati con il referendum italiano e con la forza di Marine Le Pen nei sondaggi dell’inverno scorso sulle presidenziali francesi.
Ora però la candidata «sovranista» sembra lontana dall’Eliseo. I populisti antieuropei hanno perso terreno in Francia, Olanda, Spagna, Austria e sono ai minimi termini in Germania e Grecia. L’area euro oggi cresce quasi al 2%, grazie a una ripresa che accelera in Spagna, Francia, Germania e Olanda. Non c’è ragione per cui anche l’Italia, buon’ultima, non debba reagire per prendere di sorpresa chi scommette già sull’esito peggiore.
di Federico Fubini
Questo articolo e’ stato pubblicato dal Corriere della Sera, che ringraziamo