La guerra della gdo in Germania si gioca a suon di mele ammaccate e prezzi stracciati. Sì, perché i tedeschi favoriti dal buon andamento economico sono in modalità «acquisto» a patto che le insegne (soprattutto quelle hard discount) rispondano alla domanda di cibi biologici, prezzi bassi e servizi eccellenti.
Penny Market, supermercato del gruppo Rewe, sta puntando per esempio sulla sostenibilità oltre che su negozi di quartiere capillari e di dimensioni ridotte, che disincentivano l’e-commerce a benficio di visite più frequenti nel luogo fisico. Per sedurre i consumatori che vogliono prodotti green sono comparsi i cartelli «Penny promuove la tolleranza nel suo assortimento». Dove per tolleranza si intendono carote o mele bio con qualche ammaccatura, di solito scartate dagli scaffali della gdo tradizionale ma vessillo dell’agricoltura biologica. Ne è nata un sottomarca della private label NaturGut: ovvero Bio-Helden, tradotto «gli eroi del bio», dove ortaggi deformi sono trasformati in personaggi sorridenti con il claim «anche gli eroi possono avere difetti». E Jan Kunath (nella foto), ceo del Gruppo Rewe e di Penny, stima che saranno venduti «40 milioni di confezioni entro l’anno».
L’insegna del gruppo Rewe punta anche su punti vendita più belli con un solo obiettivo, catturare la generazione altrimenti identificata con la sigla «Lohas» (lifestyle of health and sustainability), ovvero i fissati della salute e della sostenibilità a tavola. La posta in gioco in Germania è alta. Il consumo interno ha registrato un incremento dello 0,7% nel primo trimestre, secondo i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica Destatis. Il fatturato del commercio al dettaglio è cresciuto del 3% nel 2015 e continua l’ascesa nei primi tre mesi dell’anno. Non solo: secondo Axel Fikenscher, esperto della distribuzione di Nielsen Deutschland, «l’origine regionale dei cibi è un argomento sempre più importante per i consumatori». Così per spartirsi la torta, le grandi catene stanno combattendo una battaglia senza pari seguendo le tendenze: tutto deve essere più organico, più locale, più sano e più specializzato.
Un’altra rivoluzione ha riguardato il numero uno del settore della gdo in Germania: Edeka. A metà marzo ha acquisto la catena Kaiser’s Tengelmann specializzata in supermercati cittadini nella aree più urbanizzate del Paese. L’operazione, messa in discussione anche dall’autorità per la concorrenza, ha permesso a Edeka di guadagnare 550 negozi di taglia media oltre ai suoi. Parallelamente è partita una campagna marketing virale: un po’ come Rewe che ha dato un’anima a carote e patate e reso i suoi negozi più belli, Edeka ha voluto associare l’emozione al passaggio nei supermercati dell’insegna (ha fatto la storia la campagna di Natale con il nonno che si inventa il suo funerale per avere i figli a pranzo).
Inoltre ha investito in spazi più confortevoli, dove si amplia la zona del fresco e gli scaffali sono più bassi e accessibili. Anche per rispondere alla tendenza di cibi salutari e insegne specializzate il gigante della distribuzione Metro ha separato marcatamente le sue attività: da un lato le catene di elettronica di consumo che tanto piacciono ai Millennials (Saturn e MediaMarkt) dall’altro i negozi Metro con l’alimentare all’ingrosso e poi l’insegna Real. E per stare al passo a marzo scorso Metro ha lanciato la serra dentro a iper selezionati, così le piantine aromatiche e l’insalata crescono sotto gli occhi del cliente.
Infine Lidl, ha rifatto il look ai supermercati: sempre più green e convenienti. Ma il top in fatto di ecologia sembra averlo raggiunto Aldi: lo scorso 11 maggio ha inaugurato il primo format di negozio dove scompare la tradizionale divisione in reparti, ha rifasciato di legno i corridoi e le casse dove pagare e ha lanciato una linea di vestiti di qualità che stridono con l’austerità dell’inventore dell’hard discount in Germania.
«Organico» sulle rive del Reno dovrà però fare sempre rima con prezzi bassi e questo sono i numeri a dirlo. La parte del budget familiare destinato alla spesa è invariata: vale il 13,6% (nel 2015) contro il 20,4% in Francia.
Fonte: ItaliaOggi