Nuovo deprezzamento della moneta di Pechino. Ma e’ quel che gli Stati Uniti chiedevano da anni. La People’s Bank of China ha fissato il cambio della valuta cinese a 6,401 contro la moneta Usa. Mercoledì lo yuan aveva chiuso a 6,387. Il valore fissato dalla Pboc è quello medio intorno al quale può oscillare del più o meno 2%. L’ obiettivo della People’s Bank of China, che a partire da martedì ha guidato la più imponente svalutazione dello yuan degli ultimi 20 anni, “è quello di lasciare che sia il mercato a decidere il tasso di cambio della valuta cinese e la Pboc si asterrà da interventi regolari sul mercato dei cambi”. Lo ha sostenuto Yi Gang, vice governatore della Pboc in una conferenza stampa a Pechino.
La svalutazione ha portato a un’ondata di commenti ipocriti e di reazioni isteriche da parte del mercato finanziario, alla luce del fatto che oltre un decennio la comunita’ internazionale chiedeva alla Cina di svalutare lo yuan, mentre per anni Pechino aveva fatto muro. Per convincersene, basta leggere questo articolo del dicembre 1997, intitolato: Chinese refusal to devalue yuan bolsters its ailing neighbours.
Lo yuan è stato svalutato in tre giorni del 4,65% mandando al ribasso le borse europee. La Borsa di Tokyo invece assorbe il colpo e, dopo l’incertezza iniziale, termina gli scambi a +0,99%. L’indice Nikkei rimbalza e recupera 202,78 punti fino ad attestarsi a quota 20.595,55.
La terza svalutazione di fila in tre giorni sullo yuan, pari all’1,1% contro il dollaro (con un totale salito al 4% circa), indebolisce l’euro che sulla piazza valutaria nipponica scivola a 1,1134 dollari e a 138,52 yen. Il biglietto verde si rafforza contro la divisa giapponese, portandosi a 124,42.
Nonostante la nuova azione della Cina sulla propria valuta, le Borse in Europa rimbalzano, in scia alla chiusura positiva dei mercati asiatici. Londra sale dello 0,7%, Francoforte dell’1,6%, Parigi dell’1,7% e Madrid dell’1,3 per cento. A trainare i listini i titoli del settore auto e in generale una spinta arriva dalle trimestrali positive. Nestlé guadagna per esempio il 2,2% battendo le attese degli analisti sui conti del semestre.
Nei giorni scorsi, secondo gli operatori la Pboc sarebbe intervenuta per contenere il calo della quotazione dello yuan. Il vice governatore ha aggiunto che il cambio lo yuan verrà mantenuto ad un livello “più’ o meno stabile” e “ragionevole”. Nel corso della conferenza stampa Zhang Xiaohu, responsabile del dipartimento monetario della Pboc, ha affermato che la banca ha intenzione di aprire a “selezionate” solo sul mercato “offshore”.Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) in un rapporto diffuso all’inizio dell’anno, ha auspicato la fusione dei due mercati. La creazione di un unico mercato della valuta aperto agli stranieri aprirebbe la strada all’inglobamento dello yuan nel “paniere” di valute forti usato dall’Fmi per determinare il valore del Diritti Speciali di Prelievo, la valuta internazionale emessa dallo stesso Fondo.
Il commento
LA CINA COPIA L’ITALIA – di GianPaolo Bazzani, AD Saxo Bank Italia
Eravamo noi italiani gli esperti nell’arte della “svalutazione competitiva” negli anni ’80 – ‘90, oggi la Cina ci ha copiato anche in quello. Per arginare il rallentamento della crescita e gli evidenti segnali d’instabilità finanziaria, la Banca Popolare Cinese è tornata ad agire dopo l’acquisto di azioni in enorme quantità per arginare la caduta della Borsa, svalutando a più riprese la propria valuta. Lo yuan era diventato evidentemente troppo forte contro il dollaro nella visione dei politici cinesi. Con i timori di un rallentamento economico, dopo il fallimento di una politica espansionistica “alla giapponese”, svalutare era l’unica arma che la Cina non aveva ancora sfoderato.
Di fatto la Cina vuole un dollaro forte in modo da favorire il proprio export e mantenere in vita il proprio modello di espansione “dirigistica”. E questo non è una sorpresa. Se guardiamo il rapporto tra dollaro e yuan negli ultimi 5 anni. Il dollaro è sceso moltissimo rispetto alla valuta cinese e la mossa della BPC, a guardarla su un orizzonte temporale più ampio, rischia di essere solo un primo passo. Quali le conseguenze sui mercati? Partiamo dagli USA: cosa ne pensa l’altra economia che guida il mondo di questa manovra ferragostana? La banca centrale americana dovrebbe aumentare i tassi d’interesse entro l’anno, ma il conseguente nuovo apprezzamento del dollaro, esattamente ciò che vuole la Cina, potrebbe rallentare la ripresa americana e quindi spingere la stessa FED ad attendere. Non è un caso che mentre la banca centrale cinese svalutava, i rendimenti dei titoli di stato americani scendevano, segno che il mercato comincia a dubitare del rialzo dei tassi USA.
Sul mercato valutario tutte le monete asiatiche e in generale quelle dei paesi che più esportano in Cina subiranno un contraccolpo. Rublo, Won coreano, Rupia indonesiana e Real brasiliano, valgono tra il 10 e il 20 per cento in meno ed esiste il rischio concreto che alcune valute (la Rupia e il Real su tutte) arrivino a perdere anche il 50%. La manovra cinese spaventa non solo i governi ma anche le multinazionali, soprattutto di alcuni paesi esportatori di materie prime concorrenti, come Brasile e Australia, e in alcuni settori, come l’informatica e la telefonia mobile dove dominano gli Usa. Anche auto e beni di lusso pagano il conto: i cinesi avranno meno potere di acquisto per fare incetta di auto europee e moda italiana. Difficile misurare a priori l’entità degli effetti della manovra cinese nel medio periodo. Quello che è certo è che la Cina ha voluto dare inizio alla guerra delle valute e questa volte è guerra vera.