Scatta l’ora della grande alleanza tra Mediaset e Vivendi. I consiglieri del gruppo che fa capo alla famiglia Berlusconi sono stati convocati questa sera alle cinque, per un cda che sancirà l’accordo tra Cologno Monzese e il colosso dei media francese che fa riferimento a Vincent Bolloré. A Parigi, invece, non ci sarà alcuna riunione, visto che il cda ha già dato le deleghe per dare il via libera all’accordo all’ad, Arnaud de Puyfontaine. La svolta è giunta dopo che gli avvocati degli studi Carnelutti e Chiomenti hanno limato gli ultimi particolari di un’intesa che sposta l’asse della concorrenza in tema di contenuti e distribuzione su scala europea, dove gli avversari sono colossi che si chiamano Sky e Netflix. Insieme i gruppi di Cologno e Parigi collaboreranno nella produzione di contenuti originali, nella pay tv e con una piattaforma comune che metterà a fattor comune i rispettivi portali per la visione di contenuti via Internet, creando un «over the top» alla Netflix ma tutto europeo.
Per cementare l’accordo industriale, tra Mediaset e Vivendi ci sarà anche uno scambio azionario. Le due capogruppo acquisiranno una partecipazione reciproca di circa il 3,5%, facendo ricorso alle azioni proprie detenute dalle due società. E siccome i valori in campo sono differenti (Vivendi capitalizza 25 miliardi, Mediaset poco più di 4 miliardi: il 3,5% vale rispettivamente 874,65 milioni e 137,2 milioni), il conguaglio verrà effettuato conferendo la Mediaset Premium Spa (di cui Mediaset ha l’89%) ai francesi, valutandola circa 800 milioni. Altro sigillo dell’alleanza avverrà negli organi di governo dei due gruppi. L’ad e vice presidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, farà il suo ingresso nel cda di Vivendi, mentre a Mediaset esordirà l’ad francese de Puyfontaine, anche se è circolato anche il nome di Yannick Bollorè, figlio del presidente di Vivendi che però è numero uno di un’altra società del gruppo di famiglia, la Havas. Comunque nelle prossime ore non ci dovrebbero essere particolari cerimonie perché, a valle dell’accordo, il lavoro andrà avanti. Ci sarà un periodo di tre mesi in cui i francesi svolgeranno la «due diligence» su Premium, valutandone insomma a fondo lo stato di salute per definire al meglio i valori. Finito questo avverrà la chiusura finale dell’affare che legherà i destini dei due gruppi.
L’accordo segna una svolta nel mondo del business della televisione a pagamento, sempre più integrata con la banda larga e sempre più affamata di produzioni originali di alta qualità, oggi per buona parte prerogativa americana. Mediaset e Vivendi avvieranno una collaborazione su vasta scala anzitutto proprio nella produzione di serie, film e format originali, partendo dalla francese Studio Canal, che è tra i principali produttori in Europa. Vivendi, nella produzione, si va espandendo in Spagna, Regno Unito e guarderà anche in Italia. La distribuzione di tali contenuti sarà ampia, tra Italia, Francia, Spagna (dove Mediaset è presente) e Germania. Ci sarà una piattaforma comune tra i portali per lo streaming di serie tv e film: la Infinity del Biscione, la francese Canal Play e la tedesca Whatchever di Vivendi, oltre a probabili accordi sui contenuti con la spagnola Movistar di Telefonica. Che a sua volta uscirà da Mediaset Premium, di cui ha l’11%. A proposito, anche senza quest’ultima, Mediaset continuerà a fare la pay tv visto che manterrà i canali di film e serie, già oggi esclusi dal perimetro societario di Premium che invece include abbonati, tecnologia, i canali del calcio e i relativi diritti, che finiranno ai francesi. Per i clienti di Mediaset il bouquet, grazie alla collaborazione di Cologno con Parigi, è destinato ad allargarsi. Fuori dall’operazione resta invece Telecom Italia, di cui Vivendi è primo azionista e con cui avrà occasione di attivare le sinergie prospettate, in linea con il futuro della televisione, che vede la piena convergenza tra offerte di servizi voce, banda ultralarga e contenuti.
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Il via libera del premier ai francesi: ormai Silvio non mi preoccupa più
Una coincidenza? Difficile crederlo. Lo stesso giorno in cui Telecom Italia, con Vincent Bolloré azionista di maggioranza, si vede chiudere in faccia la porta dal governo sullo sviluppo della banda larga, Vivendi – sempre con Bolloré azionista di maggioranza – compie l’abbraccio azionario con Mediaset.
Una partita doppia, allora? Per il finanziere bretone che da decenni ha scelto l’Italia come destinazione favorita, senza dubbio. Nella colonna del dare c’è oggi una perdita di peso strategico della «sua» Telecom, dove nel giro di qualche mese ha messo quattro uomini in consiglio e ha appena cambiato l’amministratore delegato. In quella dell’avere, invece, Bolloré può segnare lo sbarco sul mercato televisivo italiano, ma soprattutto l’embrione di quello che ambisce ad essere il concorrente europeo di Sky e forse quello globale di Netflix.
Uno scambio, addirittura? E perché no. Sotto la regia del governo, naturalmente, visto che il bon-ton di politica&finanza impone a qualsiasi latitudine di chiedere permesso se si entra in casa altrui occhieggiando oggetti di valore – non solo economico – come le telecomunicazioni e le televisioni. Anche per questo – raccontano fonti attendibili – nelle scorse settimane Bolloré è andato ancora una volta a trovare Renzi; in questo caso per chiedergli un informale via libera sull’operazione Vivendi-Mediaset. Via libera concesso dal premier anche sulla base della constatazione che ormai Silvio Berlusconi non rappresenta più per lui un pericolo politico e che quindi non c’è rischio ad alimentarne le attività nei media con nuovi soci.
A voler essere maliziosi si potrebbe addirittura pensare che con il suo sigillo sull’operazione Vivendi-Mediaset il premier offra all’avversario di un tempo un’onorevolissima via d’uscita, prospettando magari alla nuova generazione dei Berlusconi un ruolo non più come azionisti di maggioranza di un’azienda televisiva che nel passato ha avuto un ruolo essenziale anche nelle vicende politiche del capofamiglia, ma come soci di minoranza di un soggetto assai più grande che per la sua stessa natura paneuropea (Francia, Italia, un po’ di Germania e quella Spagna da sempre cara a Mediaset) e un profilo ben tagliato su sport e intrattenimento non troverebbe convenienza a impegnarsi in battaglie informative nazionali.
Resta il fatto che quella che sembrava essere la missione principale di Bolloré – insediarsi al comando di Telecom mantenendo intatto il vantaggioso ruolo di ex monopolista dell’operatore telefonico sul mercato italiano – per ora non pare andata del tutto in porto. Certo, attraverso Vivendi il finanziere ha ormai una saldissima maggioranza relativa, appena sotto il 30%, nella società telefonica E certo, nel cda di Telecom Italia soffia ormai il vento di Bretagna. Ma la banda larga è adesso più un affare dell’Enel che non della società di telecomunicazioni che sarebbe stata il candidato naturale per l’operazione.
Un classico colpo alla Renzi – sostiene una scuola di pensiero – per scuotere una Telecom troppo ferma e costringerla a confrontarsi su un’infrastruttura essenziale per lo sviluppo del Paese. Una dimostrazione di dirigismo alle vongole – è la tesi opposta – in cui si prende una società partecipata dallo Stato come Enel e la si indirizza su una missione non sua, escludendo nel contempo un soggetto privato e competente come Telecom. Presto, probabilmente, per giudicare gli effetti di questa mossa sul sistema italiano. E presto, prestissimo, anche per archiviare con un semplice pareggio la partita italiana di Bolloré. Se consolidamento, nelle tv come nelle telecomunicazioni, è comunque la parola d’ordine di questi tempi, c’è da giurare che il finanziere non perderà troppo tempo alla guida di una Telecom immobile, ma si muoverà attivamente. Magari evitando di replicare certe sortite come quella del 2010 nella Premafin dei Ligresti che portarono la futura stella francese della finanza italiana a guadagnarsi – era il gennaio 2014, non il secolo scorso – una multa Consob da 3 milioni di euro e diciotto mesi di interdizione da qualsiasi carica sociale per manipolazione del mercato.
Fonte: La Stampa