E’ avviato il processo di sgretolamento dei mercati finanziari, che non sono riusciti ad arrestare nemmeno i disperati interventi della Banca centrale europea (con un Mario Draghi che ha fatto chiaramente balenare nuove incisive manovre monetarie) e della banca centrale del Giappone, che inaspettatamente ha portato sotto lo zero i tassi guida nipponici. Il segnale di questo fenomeno viene dal mercato dei capitali dove si allarga in modo rapidissimo il differenziale di rendimento tra titoli statali o di società credibili e quello di emittenti pericolosi. Addirittura si moltiplicano i titoli che offrono un rendimento negativo, che vuol dire che l’investitore deve pagare per detenerli. Essi non riguardano solo molti titoli statali, come quelli della Confederazione Svizzera o quelli tedeschi fino alla scadenza di cinque anni, ma anche di società primarie come Nestlé. Secondo Bank of America Merrill Lynch, in Europa sono in circolazione circa 70 miliardi di dollari di obbligazioni corporate che hanno rendimenti negativi.
A questo movimento se ne contrappone uno opposto, che è quello su cui merita concentrarsi: da una parte stanno impennandosi i rendimenti delle obbligazioni degli emittenti meno sicuri e stanno sensibilmente aumentando i titoli obbligazionari che hanno un rendimento di 10 punti percentuali superiore a quello dei titoli statali di riferimento e che quindi vengono considerati dal mercato prossimi ad un evento di credito (ossia che vengono giudicati non più in grado di mantenere i propri impegni).
Ciò vuol dire che i mercati finanziari stanno cominciando a fare un lavoro di selezione dell’enorme quantità di carta straccia in circolazione , distinguendo tra crediti esigibili e crediti difficilmente onorabili. Ciò vuol dire punire o addirittura chiudere la porta in faccia ai creditori non credibili. Ciò vuol dire anche rimettere in discussione la bontà dei bilanci bancari nelle cui pieghe sono ancora nascoste grandi perdite.
Il risultato di questo processo è che il tentativo di traccheggiare delle società in difficoltà, reso possibile dalle politiche monetarie straordinarie delle banche centrali, diventa ora difficile se non impossibile. Questa argomentazione vale per le società colpite dalla crisi del prezzo del petrolio e delle altre materie prime, per le società dei Paesi emergenti, per le società molto indebitate. Vale anche e soprattutto per il attori del settore finanziario.
Ad esempio, alcune banche italiane, come il Monte dei Paschi di Siena, si ritrovano in una situazione in cui diventa impossibile rifinanziarsi. Quindi, se non vi sono garanzie statali o interventi pubblici di altro genere, istituti del genere hanno ostruito l’accesso ai mercati. Questo processo, oramai in corso, non si ferma alle porte della banca senese, ma trascina nel vortice anche lo stesso sistema Italia, per cui la crisi di un sistema bancario italiano gravato da 350 miliardi di euro di sofferenze, rischia di fare allargare i rendimenti dei titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi e di avviare quel processo di sfiducia rispetto alle banche italiane e al sistema Italia che è la strada migliore per ripetere le gesta della Grecia.
Si tratta di una farneticazione? No, è quanto è successo anche prima della crisi finanziaria del 2008. La crisi comincio’ già nella primavera del 2007 con il fallimento di due hedge fund che facevano capo a Bear & Stearns e con il successivo salvataggio della banca d’investimento americana orchestrato dalla Federal Reserve. Contemporaneamente si manifestavano le prime avvisaglie della crisi del mercato immobiliare statunitense. Ci volle oltre un anno perché si arrivasse all’apice della crisi con il fallimento, il 15 settembre 2008, della Lehman Brothers.
Allora la situazione economica era migliore dell’attuale. Addirittura la grande recessione (come è stata definita) fu provocata dalla crisi dei mutui suprime. Oggi la situazione economica è nettamente peggiore (una parte dell’economia mondiale è già in crisi e l’altra boccheggia) e soprattutto oggi le banche centrali hanno già utilizzato gran parte delle loro armi: i tassi sono già negativi in Eurolandia, in Svizzera, in Danimarca, in Svezia e in Giappone e molte banche centrali continuano a iniettare liquidità nei mercati. Insomma, lo stress sui mercati dei capitali si sta manifestando e sta esplodendo nonostante queste politiche monetarie eccezionalmente espansive… Dunque, stiamo nettamente peggio. Questo non vuol dire tuttavia che il tutto precipiterà nei prossimi giorni. Siamo solo all’inizio del processo di disintegrazione dei mercati finanziari, ma i tempi e le modalità del suo sviluppo non si possono prevedere.
di Alfonso Tuor
Questo articolo e’ stato originariamente pubblicato da TicinoNews
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