Sarà l’autunno dello scontento, o chissà. Per l’Italia sarà certamente l’inizio di una nuova fase, e la politica dovrebbe iniziare a prepararsi all’appuntamento. I numeri ci concedono ancora qualche mese di respiro. Alla consueta conferenza stampa mensile a Francoforte Mario Draghi non sposta di un millimetro la comunicazione della Banca centrale europea.
Il nuovo mantra è “prudenza, persistenza, pazienza”. I tassi non cambiano, il piano straordinario di acquisti di titoli pubblici resta intatto, l’inflazione e i salari non salgono abbastanza, l’euro è più forte di quanto dovrebbe, l’orizzonte temporale non cambia. Se la situazione dovesse improvvisamente peggiorare, la Bce si dice persino pronta ad aumentare l’entità del Quantitative easing (60 miliardi fino a dicembre). Nella riunione dei 19 governatori dell’area euro – garantisce Draghi – della exit strategy non s’è discusso.
Dopo l’infortunio di pochi giorni fa a Sintra, in cui pronunciò un discorso che i mercati interpretarono come il prodromo di un inizio anticipato dell’uscita dalla politica monetaria ultraespansiva, Draghi si è fatto particolarmente cauto. A Francoforte l’incubo è il “taper tantrum” del 2013, quando la Federal Reserve gestì male l’uscita dal suo piano, creò scompiglio sui mercati e fu costretta a una complicata marcia indietro. La pressione da parte di alcuni Paesi si fa forte, e per questo Draghi fa il classico passo di lato: di fronte all’insistenza dei cronisti ammette che la discussione nel consiglio dei governatori su quando uscire dall’epoca dei tassi zero è vicina.
Il prossimo meeting è previsto per il 7 settembre, e allora mancheranno due settimane dalle elezioni tedesche. Manca poco, molto poco. Quasi certamente a partire da gennaio l’entità degli acquisti inizierà a ridursi, e il costo per finanziare il debito pubblico salirà. Solo alla fine di quel processo ci sarà l’innalzamento dei tassi. Più il processo sarà lungo, più tempo avrà l’Italia per uscire dalla palude dell’ingovernabilità.
Fonte: La Stampa