Il destino della Repubblica del Titano è nelle mani di un distinto signore egiziano con l’aria da professore e il passaporto svizzero. Wafik Grais non parla una parola di italiano, in compenso sa tutto di finanza islamica: una competenza utile per chi a Occidente cerca capitali disponibili a salvare banche in crisi. Da qualche mese è il governatore della Banca centrale di San Marino. Si aggira nei corridoi del Fondo monetario accompagnato dal suo direttore generale, Lorenzo Savorelli, un ex collega alla Banca Mondiale. Mentre Mario Draghi, Janet Yellen e Mark Carney discutono di crescita e deflazione, loro hanno il compito ingrato di rimettere in piedi il sistema bancario di uno degli Stati più piccoli del mondo ma grande come quello irlandese o cipriota. In 61 chilometri quadrati vivono 32 mila persone, e l’ormai glorioso passato di paradiso fiscale ne fa ancora la sede di sei istituti ben più grandi del Paese che li ospita: il totale degli asset vale quattro volte la ricchezza nazionale. A loro volta quelle sei banche sono gravate dalla più grande mole di crediti deteriorati d’Europa in rapporto alle loro dimensioni: il Fondo monetario calcola che alla fine del 2015 erano pari al 47 per cento dei prestiti, il 140% del Pil, al cambio due miliardi di euro.
In sei anni San Marino ha bruciato un terzo del prodotto interno lordo, il peggior crollo del Continente. Ovviamente la ragione non è solo nelle conseguenze della recessione: nel giro di pochi anni e dopo svariati scandali, governo e agenzia delle entrate hanno mandato al tappeto una delle storiche cassaforti dell’evasione italiana. Gli scudi fiscali di Tremonti prima e la voluntary disclosure targata Renzi hanno fatto il resto: si calcola che negli ultimi sei anni da San Marino sono usciti più di quattro miliardi di euro. Nei forzieri sanmarinesi sono rimaste soprattutto le grane. Lo scrivono gli esperti del Fondo nel loro ultimo rapporto: almeno la metà di quei crediti deteriorati appartengono a clienti non residenti.
San Marino è piccola, e il fatto che le stesse sei banche vigilate siano azioniste della Banca centrale non è un dettaglio indifferente. L’emergere degli scandali si accompagna ripetutamente alle dimissioni di qualche ministro o dello stesso governatore. Il 20 novembre si vota, e i problemi delle banche sono l’argomento principe della campagna elettorale. «Di politica non voglio sapere nulla, mi comporto come un chirurgo con i guanti», abbozza Grais sorseggiando un succo di mirtillo nella hall del suo albergo. Non sapere una parola di italiano ha fatto scandalo ma potrebbe aiutarlo nell’opera. «Naturalmente – aggiunge prudente – come accade ovunque c’è chi le riforme le vuole fare e chi rema contro». Per rimettere ordine nel sistema sanmarinese hanno chiesto assistenza tecnica al Fondo, al quale – si vocifera da tempo – potrebbero chiedere anche un prestito. Grais si ritrae: «Non abbiamo deciso nulla. Prima di prendere qualunque decisione vogliamo avere un quadro chiaro della situazione, introdurre standard internazionali e dare garanzie ai cittadini sanmarinesi». Sia Grais che Savorelli hanno confidenza con il mondo delle banche internazionali, e prima o poi si potrebbe materializzare l’interesse di uno o più cavalieri bianchi. Chissà che qualche emiro non si innamori di quella meravigliosa vista dal Monte Titano.
Fonte: Il Secolo XIX