L’avvocato del diavolo (sui mercati, ora)

L'ultimo report di UBS GWM. Descrizione dei principali rischi noti, senza dimenticare che gli eventi con maggior impatto per i portafogli sono i cosiddetti «cigni neri», vale a dire quelli ritenuti estremamente improbabili,

di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS GWM in Italia

Dopo una fine d’anno particolarmente positiva, il 2024 è iniziato abbastanza bene per i mercati finanziari: le borse hanno continuato a salire, la volatilità rimane bassa e i rendimenti obbligazionari sono scesi. Complessivamente, gli investitori hanno tratto rassicurazione dagli ultimi dati sull’inflazione mentre l’economia si mantiene lontana dalla recessione, soprattutto quella statunitense, confermando le aspettative di un atterraggio morbido. Si tratta di un contesto potenzialmente positivo per tutte le principali asset class.

Sullo sfondo si accumulano tuttavia molti rischi, in particolare in ambito politico e geopolitico, ma gli investitori sembrano non tenerne conto, forse perché concentrati sull’imminente taglio dei tassi d’interesse e perché si tratta soprattutto di rischi regionali con implicazioni tutto sommato limitate per l’economia globale.

Premesso che il panorama economico è effettivamente positivo, quando c’è un forte consenso tra gli operatori è prudente interrogarsi sulla presenza di fattori sottostimati che potrebbero scompaginare l’attuale narrazione, ribaltando le aspettative per le diverse asset class. È un paradosso, ma nei prossimi mesi il principale rischio è che l’economia vada troppo bene, la domanda rimanga robusta e l’inflazione non scenda. Penso che sia un’eventualità da prendere in considerazione soprattutto per gli Stati Uniti, in quanto l’Europa è già in stagnazione. Se l’inflazione statunitense non dovesse continuare a scendere e la Federal Reserve posticipasse i tagli dei tassi, ci potrebbe essere una reazione negativa sia per l’azionario che per l’obbligazionario.

Per un investitore europeo questi impatti potrebbero essere parzialmente mitigati da un rafforzamento del dollaro. Per l’Europa il rischio sembra essere l’opposto: anche se la BCE comincerà a tagliare i tassi, continuerà a ridurre il proprio bilancio e quindi la liquidità in circolazione.

Inoltre, nella seconda parte dell’anno i governi inizieranno a prepararsi per il nuovo Patto di stabilità che avrà un impatto negativo sulla crescita. Pertanto, seppur improbabile sulla base degli ultimi dati, il rischio di una recessione non può essere ignorato. Quest’anno si alterneranno molte elezioni, che coinvolgeranno oltre la metà della popolazione mondiale: dagli Stati Uniti all’India, passando per Unione europea, Indonesia, molti Stati africani, Messico, Venezuela e tanti altri. Quelle che hanno maggiore rilevanza da un punto di vista finanziario sono senza dubbio le presidenziali statunitensi dove, per il momento, si delinea una sfida tra l’attuale Presidente Joe Biden e l’ex Presidente Donald Trump.

I mercati non sembrano essersi ancora appassionati al tema ma sicuramente l’interesse aumenterà nei prossimi mesi, quando sarà forse possibile stimare la composizione del Congresso, una variabile fondamentale per determinare il raggio d’azione del nuovo Presidente. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina con tutta probabilità continueranno indipendentemente dall’esito delle elezioni, ma non ci aspettiamo un’escalation nel breve termine. Il debole andamento della borsa cinese ci fa capire che molti investitori temono il rischio di limitazioni ai flussi di capitali.

Periodicamente si registrano segnali di distensione e di recente è stata ribadita l’intenzione di mantenere una linea di comunicazione tra i Presidenti Xi Jinping e Joe Biden. Ma la difficile relazione tra queste due superpotenze rappresenta un rischio per l’economia globale su molti fronti. Per esempio, Trump ha proposto nuovi dazi compresi tra il 10 e il 60% sulle merci cinesi ed è di pochi giorni fa una proposta di legge mirata a bloccare l’attività di alcune società cinesi, che potrebbero avere legami con l’esercito, nel campo delle biotecnologie.

La nostra aspettativa è che il conflitto in Medio Oriente e quello tra Russia e Ucraina non registrino escalation. Ma non si tratta di rischi meramente teorici, come dimostrano i recenti attacchi missilistici a imbarcazioni commerciali nel Mar Rosso, che stanno obbligando le flotte commerciali ad allungare le rotte. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken ha indicato che le condizioni geopolitiche in Medio Oriente sono le peggiori da 50 anni.

Anche dal conflitto in Ucraina non provengono segnali distensivi e il quadro potrebbe cambiare sulle base delle elezioni in programma quest’anno, a partire da quelle statunitensi. Come anticipato, per ora gli investitori non sembrano prendere in considerazione questi rischi: il principale indice di volatilità (VIX) rimane oltre il 20% al di sotto della sua media storica, anche se nelle ultime sedute ha registrato un modesto incremento. Il petrolio è un altro indicatore delle tensioni geopolitiche e il suo prezzo si mantiene inferiore ai livelli del 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas contro Israele.

Quelli descritti sono i principali rischi noti, senza dimenticare che spesso gli eventi con maggior impatto per i portafogli sono i cosiddetti «cigni neri», vale a dire quelli ritenuti estremamente improbabili, come è stato per la pandemia. In aggiunta, l’effetto di potenziali eventi avversi sulle borse potrebbe essere amplificato dalla particolare natura del mercato azionario, che ormai vede una prevalenza di scambi eseguiti tramite algoritmi. La gran parte di questi automatismi è legata alla volatilità: quando è bassa, porta ad aumentare il rischio e quindi l’esposizione azionaria. Ciò significa che un evento avverso che dovesse far salire rapidamente la volatilità potrebbe innescare un temporaneo effetto domino.

Ribadisco che lo scenario più probabile resta quello di un atterraggio morbido ma, volendo prendere in considerazione i rischi appena discussi, come potrebbe prepararsi un investitore? Diciamo che non esiste una forma di protezione che valga per tutti, ma diverse strategie possono aiutare a mitigare i possibili effetti negativi. La prima difesa sono le obbligazioni con un buon rating e scadenze medio-lunghe, che possono avere caratteristiche anticicliche: infatti, qualora l’economia dovesse sorprendere in negativo e le banche centrali fossero costrette ad accelerare i tagli dei tassi d’interesse, questi titoli aumenterebbero di valore.

Nel campo azionario ci si può orientare verso società di qualità, vale a dire con buona redditività e basso indebitamento, oltre che verso settori che si difendono meglio nei periodi di bassa crescita, come la tecnologia. Inoltre, visto che spesso le materie prime e, in particolare il petrolio, rappresentano la catena di trasmissione dei rischi geopolitici in finanza, anche un’esposizione al settore energia e ai titoli petroliferi può essere di aiuto.

Per gli investitori più sofisticati ed esposti all’azionario, la combinazione di bassa volatilità e rendimenti elevati rende più interessante anche l’acquisto di protezione. Tra i beni rifugio, l’oro tende a beneficiare di un aumento della volatilità e di bassi tassi d’interesse. Anche lo yen può funzionare in un simile scenario, considerato che nei periodi di recessione passati si è apprezzato di circa l’8% rispetto al dollaro.

Allungando la prospettiva, la statistica ci offre un altro punto di vista e ci ricorda una delle principali regole: mantenere un’ampia diversificazione a livello geografico e di asset class. Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a una forte alternanza in cima alla classifica delle migliori asset class: una volta il settore immobiliare, due volte l’azionario giapponese, una volta quello americano, una volta l’obbligazionario europeo, un’altra l’oro e ben tre volte il petrolio (che nello stesso periodo è stato anche per quattro anni l’investimento peggiore). Insomma, la tattica è importante per difendere i portafogli, ma spesso la strategia lo è ancora di più.

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