«Non siamo lupi guerrieri. Pechino rispetta l’alleanza tra Italia e Usa»

Li Junhua, ambasciatore in Italia: promuovere lo stop e il trasferimento delle linee produttive o la sospensione delle catene di fornitura è diffondere "un virus politico". La partnership Via della Seta? È di lungo periodo.

Intervista di Guido Santevecchi

(WSC) ROMA – Dal suo osservatorio di Roma, durante il lockdown, l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese Li Junhua è stato colpito «da come l’Italia ha tarato le misure su basi scientifiche e da come i cittadini hanno partecipato. Ho visto il rispetto dell’Italia per la vita e l’attenzione alla salute; ho visto la professionalità, il coraggio e il senso di responsabilità del personale sanitario impegnato in prima linea; ho visto il senso di solidarietà, ottimismo e rispetto delle regole della popolazione. Ho visto anche l’Italia avviare attivamente la cooperazione mondiale per la lotta alla pandemia, sentendosi sulla stessa barca con gli altri Paesi, Cina compresa».

La globalizzazione è in terapia intensiva, prognosi incerta. Ci siamo accorti di essere dipendenti dalla Cina anche per le mascherine; che se si fermano le vostre catene di approvvigionamento si paralizzano le nostre fabbriche. Così molti politici e economisti sostengono che bisogna rimpatriare linee produttive strategiche. Un rischio per la Cina?

«La pandemia da Covid-19 non può e non deve essere il “funerale” della globalizzazione, al contrario, deve essere un catalizzatore in grado di far uscire la globalizzazione dalla “terapia intensiva” e spingerla verso uno sviluppo sano. Molti investitori hanno i loro asset produttivi in Cina, perché apprezzano capacità ed efficienza del settore manifatturiero cinese, ma ancor di più per il potenziale del mercato dei consumi cinese. Promuovere con entusiasmo lo stop e il trasferimento delle linee produttive o la sospensione delle catene di fornitura è diffondere “un virus politico”. Non so chi potrebbe trarne profitto, ma sono certo che non sarebbero i consumatori. Gestire l’economia di mercato senza parlare del mercato, questo è il vero pericolo».

Il governo italiano nel 2019 ha aderito alla «Belt and Road Initiative»: in cambio furono annunciati investimenti cinesi per quasi 3 miliardi di euro. Che cosa possiamo aspettarci ora?

«La cooperazione per la Via della Seta è un processo a lungo termine basato sul vantaggio comune, che si basa su molteplici forme di cooperazione. Ad esempio, l’Italia ha emesso per la prima volta i “panda bond” in Cina; abbiamo da poco siglato un accordo per l’esportazione in Cina di riso e carni bovine italiane e le aziende cinesi hanno investito nella “Motor Valley” italiana. Ancora più importante, ora, di fronte a una pandemia senza precedenti, i Popoli dei nostri due Paesi hanno dimostrato la volontà di sostenersi a vicenda e di affrontare insieme la difficoltà. La connessione tra persone, la vicinanza tra cuori, e il rispetto culturale sono la base fondamentale per lo sviluppo della cooperazione».

Il ministro Di Maio, sostenitore del rapporto con la Repubblica popolare, ha detto al Corriere che «la Cina è un partner, gli Stati Uniti l’alleato principale». La formula vi soddisfa?

«Rispettiamo l’alleanza che esiste tra Italia e Stati Uniti, non crediamo che questa debba diventare un ostacolo alla partnership tra Italia e Cina. Le nostre sono due civiltà antichissime che credono nei rapporti basati sull’affinità, sperano che gli amici dell’altro possano diventare anche propri amici o almeno che non diventino nemici. L’Italia conduce la sua politica estera in modo autonomo e indipendente basandosi sui propri interessi. La Cina lo apprezza ed è disponibile a promuovere il partenariato strategico globale con l’Italia».

I rapporti tra Pechino e Washington sono tesi. Crede che la collaborazione potrà essere recuperata?

«La cooperazione tra Usa e Cina è vantaggiosa per entrambi, lo scontro dannoso per entrambi. Nella prima fase della pandemia il popolo, le imprese e le organizzazioni della società civile hanno fornito assistenza alla Cina, ne siamo stati commossi e non lo dimenticheremo. Quando la situazione epidemica è peggiorata negli Stati Uniti, il popolo, le imprese e le organizzazioni cinesi, nei limiti delle proprie possibilità, hanno fornito aiuto. Tutto ciò ha mostrato che “il virus è spietato, ma tra gli esseri umani c’è amore” e che tra i due popoli esiste una profonda amicizia e sentimento di umanità. Tuttavia, alcuni politici statunitensi, per i loro scopi egoistici, sono arrivati al punto di “opporsi alla Cina in ogni caso”. Non si può permettere che le relazioni sino-americane siano trascinate in un pantano di scontri dalle manovre di pochi. Speriamo che Stati Uniti e Cina si muovano l’uno verso l’altro al più presto».

Per anni la vostra diplomazia è stata riservata. Perché ora molti ambasciatori alzano il volume? Vi chiamano «Wolf Warrior». Ambasciatore Li Junhua, lei è un lupo guerriero?

«La nostra politica estera si è sempre basata su mutuo rispetto, trattamento egualitario e cooperazione di mutuo vantaggio. Ci dispiace che ci siano pregiudizi e inimicizia nei confronti della Cina, nell’ultimo periodo l’epidemia è stata usata da qualche politico per diffamarci. Ricordo che solo tra marzo e aprile di quest’anno la Cina ha esportato 27,8 miliardi di mascherine e 130 milioni di tute protettive e 73,41 milioni di kit per tamponi e 49.100 respiratori. Di fronte alle diffamazioni i diplomatici cinesi debbono spiegare la verità dei fatti ai cittadini e ai media del Paese in cui si trovano in missione. Penso che il corpo diplomatico di qualsiasi Paese di fronte alla stessa situazione reagirebbe allo stesso modo. Credo che l’etichetta di “Wolf Warrior” non sia adeguata, forse sarebbe una metafora più azzeccata parlare di “Kung Fu Panda”».

Fonte: Corriere della Sera

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