(WSC) Roma – L’epidemia di coronavirus era esplosa a Wuhan due mesi prima che il governo di Pechino e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) rivelassero al mondo l’esistenza della nuova malattia? È lo scenario che sembra emergere dalle testimonianze di alcuni atleti che dal 18 al 27 di ottobre parteciparono ai Giochi mondiali militari nella metropoli cinese. Lo schermidore Matteo Tagliarol ha raccontato che «moltissimi nella delegazione italiana si sono ammalati di influenza, tanto che c’erano problemi con le scorte di medicine. Quando sono rientrato ho avuto la tosse, la febbre, per tre settimane».
«A Wuhan eravamo in sei nello stesso appartamento continua la testimonianza dello spadista azzurro – e ci siamo ammalati tutti». Ma Valerio Aspromonte, il campione di fioretto delle Fiamme Gialle che era nella stessa stanza di Tagliarol, ha ricordi differenti: «Non ho avuto alcun sintomo influenzale: febbre, tosse, niente… E posso dire lo stesso dei miei compagni di stanza. Compreso Matteo che non mi sembra stesse male. Non ho visto atleti moribondi in giro per il villaggio. Che era enorme e pulitissimo, compresi bar e mensa».
CONTROLLI METICOLOSI
Sbagliato pensare che il villaggio potesse essere una sorta di isola felice rispetto al resto della città. «In centro si stava bene. Su dieci sere almeno otto le abbiamo passate fuori, compresa l’ultima: siamo andati a cena insieme, tutti noi della scherma, la sera prima di ripartire e poi siamo stati a ballare fino alle 4. Difficile per delle persone che stanno male…». «I controlli erano davvero meticolosi, forse come non mi è capitato mai di vedere in altre competizioni – racconta Kevin Ojiaku, specialista del salto in lungo delle Fiamme Gialle – Per questo le parole di Tagliarol mi hanno sorpreso. Addirittura, a livello ambientale, mi aveva fatto impressione sapere che avevano chiuso le fabbriche tre mesi prima per far abbassare i livelli di smog nell’aria e facilitare le prestazioni sportive. Si vedeva il cielo limpido e mi dicevano che non è usuale da quelle parti». A mettere un tombale sulle parole di Tagliarol è poi arrivata la nota dello Stato Maggiore della Difesa che ha sottolineato come «il personale sanitario militare ha sempre monitorato lo stato di salute della delegazione (…) e non ha riscontrato alcuna criticità sanitaria individuale o collettiva».
LO STUDIO
Eppure secondo uno studio (basato sull’esame di 7.000 sequenze genetiche raccolte in giro per il mondo) che verrà pubblicato sul prossimo numero della rivista scientifica Infection Genetics and Evolution, il virus sarebbe passato dagli animali agli esseri umani proprio tra il 6 ottobre e l’11 dicembre 2019. E, in base a documenti visionati dal quotidiano hongkonghese South China Morning Post, il governo cinese registrò il primo caso del misterioso virus il 17 novembre scorso. Aumenta dunque la pressione internazionale su Pechino per fare chiarezza sull’origine del Covid-19, sulla cui diffusione il presidente cinese, Xi Jinping, e l’Oms lanciarono l’allarme il 30 dicembre.
L’Unione Europea ha una posizione diversa dall’Amministrazione statunitense (che continua a insinuare che Pechino avrebbe fabbricato il virus in laboratorio) ma appoggia comunque un’inchiesta internazionale. Pressioni mal sopportate da Pechino, la cui immagine nel mondo hanno rivelato uno studio cinese e uno statunitense è scesa ai minimi dalla repressione di Tiananmen nel 1989. Ieri gli ambasciatori dell’UE si sono visti respingere la pubblicazione di un loro intervento sull’edizione cinese del China Daily, mentre su quella in lingua inglese è stata censurata la frase: «L’esplosione del coronavirus in Cina e la conseguente diffusione nel resto del mondo ci ha costretti a mettere da parte momentaneamente gli incontri programmati». Ieri la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha sottolineato che Pechino respinge qualsiasi «presunzione di colpevolezza» ma, nello stesso tempo, ha aperto a un’inchiesta dell’Oms, affermando che la Cina appoggerà un’indagine sulla diffusione del virus «al momento opportuno».
LE ORIGINI
Maria Van Kerkhove, epidemiologa dell’Oms, ha confermato che «stiamo discutendo con la controparte cinese su un’ulteriore missione, più accademica rispetto alla precedente, per fare luce su cosa è successo all’inizio». Al contrario «la Cina si oppone alle nazioni, come gli Stati Uniti, che politicizzano la questione dell’origine del virus e fanno pressione per un’inchiesta internazionale con la presunzione di colpevolezza» ha chiarito Hua. È altamente improbabile che la leadership cinese acconsenta a un’inchiesta internazionale indipendente, che potrebbe evidenziare ritardi e mancanze nel contrasto dell’epidemia. Da un paio di mesi Pechino ha infatti mobilitato il suo apparato di propaganda per lanciare il messaggio opposto, e cioè che il successo delle sue misure di contenimento a Wuhan, dimostrerebbe la superiorità rispetto alle democrazie liberali.
Fonte: Il Messaggero