Chi è Abu Mazen (o Mahmud Abbas)?

Dopo l'incontro con il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese ha rilanciato le sue quotazioni quale leader per il dopoguerra: ma alle luci si accompagnano anche molte ombre

Il leader giusto, finalmente. Così dissero, in molti, quando Abu Mazen prese il posto di Yasser Arafat, nel 2004, dopo la morte di quest’ultimo. Il leader giusto, evidentemente, per fare la pace con Israele. A distanza di vent’anni, quasi, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) appare invece (politicamente) troppo debole e vecchio per arrivare a una soluzione con lo Stato Ebraico. Soprattutto, da tempo non gode più della stima e dell’appoggio dei palestinesi. Di tutti i palestinesi.

Nonostante ciò, il recente incontro a Ramallah con il segretario di Stato americano Antony Blinken rilancia, in pieno, le quotazioni di Abu Mazen. Quantomeno, significa che gli Stati Uniti puntano su di lui per rilanciare i negoziati di pace con Israele. Anche perché è l’unica figura che può ricucire lo strappo provocato dall’attacco terroristico di Hamas e dalla conseguente, fortissima risposta militare israeliana.

Le origini e gli studi

Classe 1935, nato a Safed quando la Palestina era ancora sotto il controllo del Regno Unito, Mahmud Abbas (questo il suo nome all’anagrafe, mentre tutti o quasi preferiscono usare la kunya Abu Mazen) vanta una laurea in legge a Damasco e un dottorato all’Università Patrick Lumumba di Mosca. L’istituto dove studiarono e si formarono molti futuri dirigenti di Paesi alleati all’Unione Sovietica. Militante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) sin da giovanissimo, ha fondato Fatah, il principale partito palestinese, assieme ad Arafat. È stato fra i negoziatori palestinesi nelle trattative con Israele sfociate, nel 1993, alla storica stretta di mano fra Arafat e Rabin alla Casa Bianca e agli Accordi di Oslo.

I rapporti con Arafat

Arafat, viste le sue doti, ma considerando anche le pressioni di Stati Uniti e Israele, lo ha promosso primo ministro nel 2003. Ma i rapporti, fra i due, non sono mai stati idilliaci. Abu Mazen, in particolare, ha spesso rimproverato ad Arafat di ostacolare il mantenimento della sicurezza in Cisgiordania e a Gaza. Impedendo, di fatto, di arrivare a un compromesso con Israele. Alla morte di Arafat, come detto, Abu Mazen è stato designato quale erede. Presidente dell’ANP l’anno successivo, il nuovo leader si è ritrovato, all’improvviso, fra le mani la possibilità di riallacciare il filo con Oslo dopo che Arafat, nel 2000, aveva fatto saltare il banco.

In un discorso passato alla storia, non a caso, Abu Mazen ha spiegato – riferendosi alla seconda Intifada, scoppiata nel 2000 – che la lotta armata «ha danneggiato il popolo palestinese» e che l’obiettivo di arrivare a uno Stato palestinese poteva essere raggiunto solo e soltanto attraverso una convivenza pacifica con Israele. Abu Mazen, però, ignorava che di lì a poco – nel 2006 – Hamas avrebbe vinto le elezioni legislative palestinesi. E che, soprattutto, avrebbe assunto il controllo di Gaza. Proclamandosi come unico, vero rappresentante dei palestinesi. Siamo agli albori di una vera e propria lotta intestina.

Le posizioni su Hamas

Nel 2007, a proposito di lotte intestine, Fatah e Hamas hanno trovato un’intesa per un governo di unità nazionale con Abu Mazen presidente. Poco a poco, tuttavia, le divergenze sono riemerse. Hamas, fra le altre cose, ha nominato un suo primo ministro a Gaza. Lo stesso, in Cisgiordania, ha fatto l’ANP. L’appuntamento alle urne per nuove elezioni, in tutti questi anni, viene rinviato a più riprese. Ufficialmente, parola di Abu Mazen, a causa dell’occupazione israeliana. In realtà, sono proprio i dissidi interni fra i palestinesi a incidere.

Abu Mazen, nel 2014, ha pure tentato di sradicare Hamas appoggiando da un lato il blocco di Gaza e, dall’altro, acconsentendo all’allagamento dei tunnel attraverso i quali armi ed esplosivi entrano nella Striscia.

Le parole sulla Shoah

Il 7 ottobre scorso, dopo gli attacchi di Hamas, il presidente dell’ANP ha adottato una posizione equidistante. Ha condannato da una parte «l’uccisione di civili da entrambe le parti perché contrarie alle leggi morali, religiose e internazionali» e, dall’altra, chiesto il rilascio «di tutti gli ostaggi e i detenuti» israeliani e palestinesi. Auspicando altresì un cessate il fuoco.

Dopo aver cancellato una visita con il presidente statunitense Joe Biden, complice l’attacco all’ospedale di Gaza City che la quasi totalità del mondo arabo ha quasi subito attribuito, sbagliando, a un missile israeliano, Abu Mazen ha infine incontrato il segretario di Stato Antony Blinken. Rilanciando, così, le sue quotazioni quale leader per il dopoguerra.

In realtà, però, come dicevamo Abu Mazen non è affatto ben visto né tantomeno è amato fra i palestinesi. Perché, dopo gli Accordi di Oslo, ha fatto da poliziotto per Israele come sostengono alcuni, dando la caccia ai terroristi palestinesi. Perché, ancora, da quando Benjamin Netanyahu è al potere lo Stato Ebraico ha fatto tutto e di più per delegittimarlo. Bloccando, fra l’altro, i fondi destinati all’ANP. E perché la stessa ANP sarebbe invasa dalla corruzione.

A sporcare, internazionalmente, l’immagine di Abu Mazen sono state invece le sue parole sulla Shoah. Fra quelle più pesanti, negli anni, pronunciate, citiamo l’affermazione secondo cui il numero degli ebrei sterminati nei campi di concentramento era «al massimo 800 mila» e sarebbe stato «fortemente esagerato» dagli stessi ebrei per scopi propagandistici. L’ultima uscita di questo tipo risale al 2022, quando dopo un incontro con il cancelliere tedesco Olaf Scholz spiegò che i palestinesi «hanno subito innumerevoli Olocausti»

L’onomastica araba

Mahmud Abbas, dicevamo, è conosciuto da tutti anche con la kunya Abu Mazen. Nell’onomastica araba, è un titolo onorifico derivante dal nome di uno dei figli, di solito il primogenito, reso dal termine «abu», che significa padre. La sua kunya vuol dire «padre di Mazen», il primo dei suoi tre figli, che nel 2001, a soli 42 anni, morì di infarto a Doha, in Qatar.

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