G7: rito inutile, arrogante e costoso

Dependance della NATO, arnese retaggio della vecchia arroganza occidentale, soppiantato dal G20. Consesso di paesi con credibilità ai minimi storici, leader già rifiutati dagli elettori o a fine corsa. In Puglia Giorgia farà del suo meglio, solo il Papa darà una scossa umana.

di Paolo Garimberti

Il G7 che si apre oggi nella sfarzosa cornice del resort di Borgo Egnazia, è una riunione di anatre zoppe. Quattro su sette dei leader istituzionali (ai quali si aggiungeranno altri 16 capi di Stato o di governo, o di organizzazioni internazionali, tra i quali Papa Francesco) sono a rischio di schiaffo elettorale o lo hanno già preso. Il francese Macron ha ricevuto un cazzotto al mento dal voto europeo, che lo ha costretto alla rischiosissima scommessa di indire elezioni anticipate. Il partito del tedesco Scholz è stato addirittura superato dalla ultradestra Afd, che ha dilagato nell’ex Ddr, la Germania comunista prima del crollo del Muro. Il britannico Sunak sarà quasi certamente travolto dal voto del 4 luglio. E, ultimo, ma certo non per importanza, l’americano Biden, già dato in affannosa rincorsa di Trump nei sondaggi, è stato ulteriormente indebolito dalla fresca condanna del figlio Hunter.

Se i quattro stanno male, anche altri due, il canadese e il giapponese, non si sentono tanto bene. E questo spiega in parte, sotto l’aspetto congiunturale, perché il G7 ha perduto quell’attrazione carismatica e quel potere decisionale che aveva quando veniva fieramente definito “summit delle democrazie a economia di mercato” e decideva le sorti del mondo libero, contrapposto a quello delle dittature comuniste e dell’economia di Stato. Sotto l’aspetto più duraturo del quadro economico e geopolitico, il G20 è ora più importante perché raccoglie e mette a confronto le potenze storiche e quelle emergenti, a partire da Cina e India.

Perciò in questo consesso un po’ malinconico risalta ancora di più il sorriso dell’unica “anatra” saltellante, Giorgia Meloni, uscita vincitrice dalle elezioni europee. Talmente euforica (forse anche per la presenza di Francesco, un unicum senza precedenti) da spingersi a far cancellare dalla bozza del comunicato, presentata agli sherpa degli altri Paesi partecipanti, ogni riferimento al diritto all’aborto, che invece compariva nel documento del G7 di Hiroshima dell’anno scorso. Provocando una forte irritazione negli altri capi di Stato e di governo, soprattutto il francese e il canadese. “Giorgia” si sente forte e dunque in grado di sfidare i suoi partner, nonché ospiti. Ma rischia di andare fuori strada se accelera troppo e deve fare attenzione a non varcare, sul piano dei valori, le linee guida del mainstream europeo e occidentale.

La tensione magari si stempererà nelle prossime 48 ore, perché gli sherpa sono abituati a lavorare fino all’ultimo minuto utile per limare testi e smussare gli angoli. Anche perché il tema centrale di questo G7 sarà ancora una volta la guerra in Ucraina con tutti i ricaschi geopolitici che comporta. E su questo tra i Sette Grandi (o ex Grandi) non sembrano esserci discordie.

Secondo anticipazioni dell’agenzia Bloomberg, che ha visto la bozza di documento, il summit lancerà un duro monito alla Cina a non continuare il sostegno militare alla Russia, aiutandola ad aggirare le sanzioni con la fornitura di tecnologie o parti necessarie alla produzione di armamenti (altrettanto secca la risposta del ministero degli Esteri cinese che ha invitato il G7 a “preoccuparsi di risolvere la crisi anziché lanciare accuse infondate”). Al monito si aggiunge l’appello a Pechino “a spingere la Russia a ritirarsi dall’Ucraina e a sostenere una pace giusta”.

A questi moniti e appelli la Cina fa orecchie da mercante, come è proprio il caso di dire visto che sul piano commerciale cerca di fare business as usual, affari come sempre, con gli Stati Uniti e l’Occidente. Ma è proprio lì che il G7 minaccia di colpirla pur dichiarando che “noi non cerchiamo di danneggiare la Cina o rallentare il suo sviluppo economico”.

Perché una nuova ondata di sanzioni, che Biden ha annunciato ieri prima di partire per la Puglia, mira proprio a quei soggetti terzi, che aiutano appunto la Russia ad aggirare il “proibizionismo” occidentale, a partire dalle banche cinesi. E il presidente americano si è augurato che gli alleati europei facciano lo stesso.

Insomma, è la Cina la vera spina nel fianco soprattutto degli Stati Uniti e di Joe Biden, alla disperata ricerca di consenso internazionale, ma soprattutto domestico. L’amicizia tra Putin e Xi Jinping non sarà così «senza limiti» come proclamavano due anni fa. Ma il saldo rapporto di reciproca convenienza, giustificato a metà maggio, durante la visita di Putin a Pechino, con la necessità di «fronteggiare la distruttiva e ostile pressione degli Stati Uniti» (e si può aggiungere dell’Occidente globale), è saldo e sempre più minaccioso anche sul piano militare, come dimostrano le manovre congiunte molto enfatizzate da entrambe le parti. «È la prima volta che le vediamo fare in relazione a Taiwan», ha detto al Congresso Avril Haines, capo della national intelligence americana.

Per Biden portare gli alleati del G7 sulle sue posizioni critiche verso Pechino è fondamentale, anche per ricucire un rapporto sempre più sdrucito con Zelensky, offesissimo per la scelta di Biden di presenziare a un evento del Partito democratico anziché al vertice di pace sull’Ucraina del 15 e 16 giugno («non una bella decisione», ha commentato acido il presidente ucraino). Ma mantenere una linea di coesione sulla guerra della Russia, e del suo alleato cinese, è fondamentale anche per la credibilità del G7, o di quello che resta dei fasti trascorsi, soprattutto ora che la maggioranza dei suoi membri è fatta da anatre zoppe.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da La Repubblica, che ringraziamo, con il titolo Un summit di anatre zoppe

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