A pochi giorni dall’elezione del nuovo presidente americano, la macchina diplomatica internazionale sembra avere accelerato per arrivare a una tregua in Libano.
Israele, secondo il sempre ben informato Channel 12, sta considerando molto seriamente la possibilità di un cessate il fuoco – forse limitato nel tempo – con l’organizzazione sciita filoiraniana Hezbollah.
Sabato sera il ministro più vicino al premier, Ron Dermer, si è imbarcato per gli Stati Uniti dove si prevede che incontrerà il presidente eletto Donald Trump e i consiglieri, nel primo colloquio di un alto funzionario di Gerusalemme con i membri della nuova amministrazione. Nonostante il neo ministro degli Esteri Israeliano sia Gideo Sa’ar, succeduto a Israel Katz, Dermer agisce di fatto come capo della diplomazia.
Medio Oriente, Arabia Saudita e Iran trattano
Sul tavolo a Washington, dicono i commentatori, ci saranno le guerre a Gaza e in Libano, le tensioni tra Israele e Iran e uno degli argomenti che maggiormente stanno a cuore agli Usa: l’ampliamento degli Accordi di Abramo per promuovere la normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi.
Da parte sua Benyamin Netanyahu in un video registrato ha fatto sapere che dal giorno delle elezioni americane ha già parlato tre volte con Trump: “Siamo d’accordo sulla minaccia iraniana in tutte le sue componenti e sul pericolo che essa rappresenta”, ha affermato. Nel frattempo in serata si è riunito il gabinetto di sicurezza per fare il punto proprio sugli sforzi in atto per un cessate il fuoco nel Paese dei cedri.
Intanto, quello di Dermer è il secondo viaggio nel giro di pochi giorni per sondare il terreno e tessere un canovaccio guardando alla fine del conflitto sul fronte nord: il ministro nei giorni scorsi, ha riferito la radio militare, è stato segretamente a Mosca per rappresentare gli sforzi di Israele per uno stop dei combattimenti. La Russia infatti è un attore importante in Siria, dove risiedono diverse frange di Hezbollah che tra l’altro controllano l’arrivo di armi provenienti dall’Iran.
I colloqui a quanto sembra stanno andando avanti da più tempo, tenuto conto che una delegazione russa ha visitato Israele il 24 ottobre. Sabato, alcuni funzionari statunitensi hanno confermato a Ynet che ci sono stati progressi nei colloqui per porre fine ai combattimenti tra Israele e Hezbollah: “Le possibilità di una soluzione stanno aumentando sotto la guida di Amos Hochstein, inviato del presidente Joe Biden, e con l’incoraggiamento del presidente eletto Trump. C’è anche un grande sforzo per realizzare un piccolo accordo sugli ostaggi”, hanno detto.
Diverse fonti americane stimano che Trump voglia vedere una soluzione in Libano ancor prima di insediarsi alla Casa Bianca il 20 gennaio e ha informato l’amministrazione Biden che si aspetta progressi per un cessate il fuoco. Nel mentre la famiglia allargata di Trump sta operando su più fronti: il consuocero del presidente eletto, padre del marito di Tiffany Trump, Massad Boulos (importante uomo d’affari libanese-americano) starebbe facendo la sua parte nei programmi di pacificazione del Medio Oriente a cui pensa Trump, a settembre ha parlato con Abu Mazen della soluzione dei due Stati.
Tuttavia un cessate il fuoco immediato non convince tutti in Israele: a cominciare dal leader del partito di opposizione Unità Nazionale Benny Gantz secondo cui il Paese dovrebbe ignorare le pressioni internazionali e l’esercito dovrebbe aumentare la pressione su Hezbollah. “L’obiettivo principale nel nord è far tornare i residenti sfollati”, “non dobbiamo accettare un cessate il fuoco unilaterale”.
In questo contesto, da Beirut, il ministro degli Esteri Abdallah Bou Habib ha fatto sapere che il Paese è determinato a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza e schiererà maggiori forze militari nell’area meridionale. Del resto, al momento i raid dell’Idf in Libano continuano, non solo nel sud ma anche a nord della capitale. In Siria un altro attacco ha ucciso Salim Ayash, alto comandante militare di Hezbollah già condannato dalla Corte dell’Aja per l’omicidio del primo ministro libanese Rafik al Hariri nel 2005.
Fonte: ANSA