di Lucio Caracciolo
La guerra in Ucraina avrà una soluzione militare o non ne avrà. Immaginare una soluzione diplomatica è buono e giusto. Lavorarci in segreto, come stanno tentando da mesi emissari russi e americani più qualche mediatore sparso, è necessario per mantenere oggi i contatti e preparare una tregua domani, fors’anche una miracolosa pace dopodomani. Ma il negoziato serio sarà frutto della vittoria di una parte o dell’altra. O dell’esaurimento materiale e spirituale di entrambe. Il conflitto è ormai esistenziale per i russi come per gli ucraini. Chi perde non perde una guerra ma la patria. Come minimo, ne riduce formato, benessere e prestigio a dimensioni inconcepibili prima del 24 febbraio scorso. Dunque inaccettabili dai rispettivi popoli e regimi. Quanto ai decisori di ultima istanza, Putin e Zelensky, un passo indietro e sono finiti.
Vittoria o sconfitta non si misurano nei metri quadri conquistati o persi nel lungo fronte ucraino. La guerra è di taglia mondiale. Perché vi si scontrano sempre meno indirettamente Russia e America. E perché la Cina, partner insofferente e disilluso di Mosca, entra nell’equazione principale – lo scontro con gli americani per il primato mondiale – ed è trattata come tale da Washington, che non considera vitale il fronte ucraino. Siccome gli europei non sono attrezzati alla guerra né i cinesi vogliono entrarvi per i begli occhi dei russi, i gestori di questa carneficina apparentemente interminabile sono Mosca, Washington e Kiev. Tradotto: solo gli Stati Uniti sono in grado di imporre la fine della guerra.
Tre possibili vie: ridurre il sostegno militare a Kiev fino a convincere Zelensky dell’impossibilità di vincere, dunque della necessità di compromettersi con Mosca; entrare in guerra per salvare l’Ucraina e distruggere la Russia a rischio di distruggere anche sé stessi; negoziare con i russi un cessate-il-fuoco alle spalle degli ucraini per imporlo agli aggrediti. Scenari molto improbabili (primo e terzo) o semplicemente assurdi (il secondo). Né la Casa Bianca ha fretta di interrompere un duello nel quale la Russia, unico anche se non spontaneo socio del nemico principale, paga ogni giorno un alto prezzo materiale, umano e soprattutto immateriale, perdendo quota nella gerarchia delle potenze.
Se dunque il conflitto in Ucraina si decide sul campo di battaglia dobbiamo trarne le conseguenze. Nella guerra di attrito i russi sono avvantaggiati per ragioni demografiche, militari e materiali. Sono di più, hanno più armi e più risorse degli ucraini. Noi occidentali, in ordine rigorosamente sparso, abbiamo compensato finora questo squilibrio. Inviando soldi, armi, addestratori e diverse migliaia di volontari – rilevante il corposo afflusso di soldati polacchi – per aiutare gli ucraini a difendersi dai russi. Ma i magazzini europei sono quasi vuoti, perché erano già mezzo vuoti all’inizio di una guerra in Europa che consideravamo inconcepibile. Scarseggiano le armi, soprattutto le munizioni. Né gli americani sono disposti a scoprirsi sul fronte anti-cinese per frenare l’invasione russa in Ucraina. E decisivo: le opinioni pubbliche europee continuano a pensare di cavarsela con le sanzioni – spesso aggirate – e qualche sistema d’arma, perché culturalmente impermeabili alla logica di guerra. Quella americana non pare orientata a ripetere sbarchi in Sicilia o Normandia.
La cacofonia di Ramstein conferma la varietà degli approcci atlantici allo scontro, parallela al crescente compattamento dei russi in nome della “grande guerra patriottica 2.0”. Ciò dovrebbe aprirci gli occhi sulla deriva del conflitto. Continuando lungo questo piano inclinato, prima o poi l’invio periodico e limitato di armi ai combattenti ucraini non basterà più. Bisognerà considerare l’invio di nostre truppe in Ucraina. A quel punto ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga.
Questo bivio “impossibile” si sta avvicinando, a vantaggio di Mosca. La consapevolezza dei costi umani, morali e geopolitici di un eventuale collasso di Kiev potrebbe indurre noi occidentali – americani con contorno di satelliti europei – a tentare di congelare lo scontro per il tempo necessario a inventare una convivenza pacifica fra russi e ucraini. Altrimenti ci resterà la scelta fra una catastrofe e una vergogna. Peggio: una miscela delle due.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da La Stampa, che ringraziamo.