di Natalie Tocci
Nella guerra allargata in Medio Oriente, i Paesi occidentali rivolgono lo sguardo al Mar Rosso alla luce degli attacchi sempre più frequenti dei miliziani Houthi, sostenuti dall’Iran, alle ormai poche navi mercantili che transitano per lo Stretto di Bab al-Mandeb verso il Golfo di Aden. Ci sono buoni motivi per concentrarsi su questa dimensione del conflitto, dispiegando operazioni per garantire la sicurezza marittima, ma prevalgono, di gran lunga, le ragioni opposte. C’è il rischio che le reazioni occidentali che puntano alla de-escalation regionale, la accelerino invece ulteriormente.
Iniziamo dal perché gli attacchi degli Houthi costituiscono un fattore critico che merita risposta. Il primo motivo è ovvio: attraverso lo Stretto transitava circa il 12% del commercio globale, percentuale che raddoppia per il commercio dell’Unione europea. Il transito si è già ridotto all’osso, con la maggior parte delle più grandi società che ha già sospeso o deviato il traffico via il Capo di Buona Speranza. Il commercio del petrolio e del gas naturale liquefatto e le catene del valore dell’industria, soprattutto quella dell’automotive, sono tra i settori più colpiti, il che si ripercuote sull’economia globale.
I costi dei trasporti raddoppiano, così come aumentano quelli delle assicurazioni, innalzando il rischio di una nuova impennata dell’inflazione. Basta poco per capire perché tutti dovrebbero essere in allarme, a partire dalle economie europee ed asiatiche, che dipendono maggiormente dal commercio internazionale che transita per il Mar Rosso.
Il secondo motivo riguarda l’Iran. È chiaro che, tra i diversi “proxy” che sostiene, l’Iran ha puntato sugli Houthi per agitare le acque regionali e far sentire la risposta militare di quel che Teheran definisce “l’asse della resistenza” in sostegno dei palestinesi – e soprattutto di Hamas – a Gaza.
Tutti i fronti sono caldi: dagli attacchi delle milizie filo-iraniane contro le basi americane in Siria e Iraq, a quelli degli sciiti di Hezbollah contro Israele; ma è dallo Yemen che l’Iran ha scelto di farsi sentire di più. Mettere in campo Hezbollah sarebbe un rischio troppo grosso, non solo perché il popolo libanese ripudia la guerra, ma anche perché Hezbollah rappresenta la punta di diamante che probabilmente l’Iran tiene da parte, pronta a esser scagliata soltanto nell’ipotesi più drammatica, ossia una guerra regionale in cui la Repubblica islamica sarebbe attaccata direttamente da Israele e/o dagli Stati Uniti. Gli Houthi possono fare molti danni, ma sono più spendibili, per Teheran, nel contesto attuale, che ancora non ha raggiunto il suo possibile apice.
I danni causati dagli Houthi e la loro strumentalizzazione da parte dell’Iran sono, tuttavia, certamente ottimi motivi per non starsene con le mani in mano. Tant’è che Usa e Regno Unito, nel quadro dell’operazione “Prosperity Guardian” sostenuta anche dall’Italia, da giorni bombardano le basi Houthi nello Yemen. In Europa si discute sul possibile dispiegamento di una nuova operazione navale, con almeno tre fregate nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e possibilmente arrivando fino al Golfo Persico.
Le operazioni navali sono d’altronde tra le (poche) cose che l’Ue sa fare militarmente, dall’operazione Atalanta per contrastare i pirati somali dal 2008, all’operazione Sophia, mirata a contrastare il traffico di esseri umani e assicurare il salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, il cui mandato è durato fino al 2018: quando fu interrotta, sciaguratamente proprio dall’Italia.
Ma non è che con il martello in mano devi vedere ogni problema come un chiodo. Non in questo caso. Le operazioni in corso e quelle in discussione rischiano di esacerbare una guerra costantemente sull’orlo di una escalation regionale. Gli Houthi non verranno fermati dai bombardamenti americani e britannici. D’altronde, dieci anni di bombardamenti a tappeto dell’Arabia Saudita in Yemen non solo non hanno distrutto gli Houthi, ma non hanno impedito loro di controllare una buona fetta del Paese. Gli Houthi sono molto più forti oggi di quanto non lo fossero dieci anni fa. Figuriamoci, poi, l’effetto di deterrenza che può avere un’operazione navale europea, che non avrebbe mandato di attaccare i miliziani filo-iraniani sulla terraferma, ma solamente di proteggere i cargo commerciali.
Il problema non finisce qui. Le azioni che stanno mettendo in campo Usa e Europa non solo rischiano di essere inefficaci, ma pure di accelerare l’escalation in corso. Da un lato innescherebbero (e hanno già innescato) un botta e risposta che potrebbe scappare di mano in qualunque momento. Dall’altro, verrebbero percepite come operazioni a sostegno di Israele rafforzando il paradigma che tanto l’Iran, quanto la Russia e la Cina, promuovono, di un Occidente (Israele incluso) contro il resto del mondo.
C’è un solo modo di fermare, o perlomeno di diminuire significativamente e delegittimare, gli attacchi degli Houthi e dei loro sostenitori iraniani. Ed è quello di sostenere un cessate il fuoco a Gaza. Tutto il resto è giocare con un martello quando non ci sono chiodi da schiacciare.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da La Stampa, che ringraziamo