di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS GWM in Italia
L’umore dei mercati resta positivo, le prospettive legate all’intelligenza artificiale e l’attesa dei tagli dei tassi d’interesse sono i temi principali per gli investitori. Almeno per ora, geopolitica, elezioni e qualche difficoltà nel campo immobiliare restano sullo sfondo.
Gli investitori devono però fare i conti con le valutazioni elevate delle borse, in primis quella americana: l’indice S&P 500 ha raggiunto nuovi massimi storici dopo essere salito di oltre il 40% dai minimi di ottobre 2022 mentre i principali titoli tecnologici, i cosiddetti «Magnifici sette» (Apple, Amazon, Alphabet, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla) hanno più che raddoppiato la propria capitalizzazione raggiungendo un multiplo degli utili di 27x, un premio di oltre il 20% rispetto alla media degli ultimi dieci anni. È quindi il momento di prendere profitto?
In linea con la composizione degli indici globali (per esempio, MSCI AllCountry World Index), un investitore diversificato avrebbe circa la metà della propria quota azionaria investita nella borsa statunitense, in gran parte nelle società più grandi che spesso coincidono con quelle legate alla tecnologia. Tra queste, troviamo i leader per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, un segmento che vediamo crescere del 70% entro il 2027.
Gli utili prodotti l’anno scorso dai «Magnifici sette» sono stati di 340 miliardi di dollari, quasi quanto la somma degli utili di tutte le società quotate a Londra e Zurigo, e l’aspettativa è che continuino a crescere a doppia cifra anche quest’anno. Prendere parzialmente profitto può aver senso per ribilanciare i portafogli, ma essere sprovvisti di questi titoli potrebbe rappresentare un’opportunità mancata. Lo dimostra Nvidia che ha aumentato la propria capitalizzazione di ben 230 miliardi di dollari in un solo giorno in seguito alla pubblicazione dei risultati trimestrali.
Strada facendo occorrerà tenere sotto controllo alcuni elementi d’incertezza: un deficit federale di circa il 6% che a lungo andare potrebbe influire sulla forza del dollaro, il fatto che le famiglie americane stiano utilizzando i risparmi per finanziare consumi correnti e, ovviamente, le elezioni presidenziali a novembre. Anche se la borsa americana è storicamente stata eccezionale in quanto a ritorni, occorre quindi diversificare i portafogli.
Fuori dagli Stati Uniti si trovano valutazioni decisamente più basse: le borse della zona euro (indice MSCI EMU) presentano lo sconto più forte da 40 anni rispetto a quella americana. In particolare, alcune società europee in settori come semiconduttori, farmaceutica, beni di lusso e energie rinnovabili riescono a offrire tassi di crescita comparabili ai «Magnifici sette».
Anche le small-caps, le società a piccola capitalizzazione, possono aiutare a raggiungere una buona diversificazione. A livello globale rappresentano l’11% dell’azionario, offrono valutazioni significativamente al di sotto della loro media storica e tipicamente beneficiano maggiormente di una riduzione dei tassi d’interesse.
Analoghe considerazioni valgono per i mercati emergenti. Per gli investitori più sofisticati e con una forte esposizione all’azionario, può aver senso valutare delle strategie di protezione perché la combinazione di una bassa volatilità e elevati rendimenti obbligazionari rende meno oneroso questo tipo di strutture.
L’obbligazionario continua a offrire rendimenti reali positivi, vale a dire superiori all’inflazione attesa. Le obbligazioni investment grade con scadenze medio-lunghe consentono di bloccare rendimenti che non saranno più disponibili tra qualche mese. Inoltre, potrebbero apprezzarsi qualora l’economia sorprendesse in negativo e le banche centrali fossero costrette ad accelerare i tagli dei tassi d’interesse. Si tratta di un segmento che può avere caratteristiche anticicliche, tanto che nell’ultimo secolo, escludendo tre eccezioni (tra le quali spicca il 2022), le obbligazioni hanno riportato performance positive quando l’azionario è sceso.
Il mondo del private equity viene da una fase laterale, perché al di fuori della borsa i multipli nelle acquisizioni aziendali sono rimasti a lungo ai livelli precedenti la correzione del 2022 (EV/EBITDA medio di quasi 12x). Più di recente, però, si sono riallineati alla borsa (10,8x) e dovrebbero esserci prospettive più positive per i nuovi investimenti. Osservando il mercato secondario del private equity, le operazioni più recenti stanno avvenendo a uno sconto medio del 15% rispetto al NAV (Net Asset Value, valore patrimoniale netto), che fa pensare a un maggior realismo e a prospettive in miglioramento per i nuovi investimenti.
L’attenzione degli investitori può spostarsi rapidamente da un tema all’altro e i portafogli devono avere un’allocazione che consenta di cogliere le principali opportunità attutendo eventuali shock. Proprio per questo, tutte le asset class discusse possono convivere all’interno di un portafoglio.
Infatti, la statistica ci ricorda di mantenere un’ampia diversificazione a livello geografico e di asset class. In cima alla classifica delle migliori asset class c’è una forte alternanza, solo negli ultimi dieci anni: una volta il settore immobiliare, due volte l’azionario giapponese, una volta quello americano, una volta l’obbligazionario europeo, un’altra l’oro e ben tre volte il petrolio (che nello stesso periodo è stato anche per quattro anni l’investimento peggiore). Insomma, la tattica è importante ma molto spesso la strategia pesa ancor di più.
Questo report è stato originariamente pubblicato con il titolo “Nuovi massimi aspettando la discesa dei tassi: alla ricerca di riferimenti”
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Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer, UBS WM Italy, UBS Europe SE, Succursale Italia