Le banche italiane continuano a costituire un rischio sistemico per il paese e per l’Europa. I NPL (non performing loans, sofferenze o crediti inesigibili) sono un decimo del credito totale elargito dal sistema bancario, secondo un’analisi pubblicata oggi dal Financial Times.
Un aumento dei tassi, che e’ da mettere in conto nei mesi successivi all’interruzione delle operazioni di QE (Quantitative Easing) – la massiccia operazione con cui la Bce di Mario Draghi ha drogato i mercati con enormi iniezioni di liquidita’ per un totale di 2,5 trilioni (2500 miliardi) di euro – invece di migliorare i bilanci delle banche, come qualcuno sostiene, aumentera’ le divergenze tra NPL e il resto del credito creando sbilanci ancora maggiori.
Infine, se gli istituti in difficolta’ seguono il ‘modello di riabilitazione’ di UniCredit – in sostanza puntando su un deleverage del rischio sbarazzandosi appunto degli NPL sul mercato – allora, per compiere l’operazione, si richiede alle banche una massiccia raccolta di nuovo capitale.
Secondo Berenberg, citata dal FT, servono in totale tra i €40 ai €90 miliardi, molto di piu’ di quanto possa disporre il combinato potere di salvataggio dei due fondi per le banche in crisi sponsorizzati dal governo italiano (Atlante 1 e 2).
Ultima considerazione, la forchetta ampia sulla grande quantita’ di denaro che serve in concreto per salvare il sistema bancario italiano mette in dubbio il valore effettivo degli NPL ai prezzi a cui il mercato puo’ assorbirli.
Il prezzo a cui sono stati venduti i crediti in sofferenza nel periodo 2006-15 implica una valutazione media di 23 centesimi per euro, secondo la Banca d’Italia. Ma UniCredit sta vendendo i suoi ultimi debiti tossici per quasi la meta’: 13 centesimi. Basta quindi fare due conti per capire che la situazione e’ tutt’altro che incoraggiante.