La manovra si avvicina e riprende quota l’ipotesi di una sanatoria sul contante. Con un doppio meccanismo: fissare un forfait e “vincolare” il cash oggetto di emersione, ad esempio con un investimento in titoli di Stato. Questo potrebbe anche consentire di superare resistenze e obiezioni che erano sorte esattamente un anno fa, quando il progetto era allo studio del Governo ma la levata di scudi anche all’interno della stessa maggioranza (alcuni esponenti parlarono di norma salva-Corona) fece fare una marcia indietro o meglio ripiegare sulla voluntary-bis che però non presenta la stessa convenienza per chi vorrebbe sanare.
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Il tesoro nelle cassette di sicurezza – A far ripartire il tam tam della sanatoria sono state le dichiarazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, intervenuta a Milano al convegno «A Cesare quel che è di Cesare» organizzato dall’Università europea di Roma. Boschi ha, infatti, legato due aspetti strettamente connessi tra loro: «Dobbiamo porci il problema di come incentivare l’utilizzo della moneta elettronica in Italia. Valutare leggi fiscali che possano aumentare in una prima fase l’utilizzo della moneta elettronica. E dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case: utilizzare il contante senza consentire operazioni di pulizia di chi ha ottenuto quel denaro in modo illecito».
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La stima è che tra cassette di sicurezza e altre forme di “conservazione” (magari anche la vecchia immagine del gruzzoletto nascosto sotto il materasso) ci sia una cifra che oscilli tra 150 e 200 miliardi di euro in contante. A ricordarlo è stato il Procuratore capo della Repubblica di Milano, Francesco Greco. E ha ribadito che un’operazione di emersione richiede un’«articolazione di interventi» che si potrebbero anche snodare secondo alcuni progetti già ipotizzati come appunto una disclosure accompagnata da un utilizzo «vincolato» del cash riportato alla “luce”.
Il problema del contante è intervenire con un’articolazione del contante. Una delle più interessanti era far pagare un’aliquota per la sanatoria e poi obbligare a investire in titoli di Stato senza reddito.
Il confronto sull’utilizzo – Del resto, ancor prima della pausa estiva, il confronto su una possibile soluzione del genere era partito già in commissione Finanze alla Camera. Con uno schema d’azione che si snodava lungo l’ipotesi di destinare i vantaggi della voluntary sul contante alla ricapitalizzazione dell’impresa, o ancora all’acquisto di beni strumentali, così come alle attività produttive in crisi. Oppure nell’acquisto di titoli di Stato i cui rendimenti dovrebbero essere destinati a finalità sociali come il sostegno all’occupazione o alle categorie più deboli. In questo modo la regolarizzazione sarebbe stata concretamente ancorata a un progetto di reimpiego trasparente e pienamente in regola nell’economia o nel sociale. Una finalizzazione dei proventi potrebbe, dunque, rappresentare il punto di incontro su cui far convergere un consenso politico ampio.
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I problemi aperti – Certo, resterebbero da superare alcuni problemi. Da un lato, si fa notare come l’ipotesi forfait potrebbe non passare indenne l’esame della Ue perché si tratterebbe di una riedizione dei vecchi scudi fiscali. Anche con una sostanziale differenza di grandissimo rilievo: la nuova sanatoria si iscriverebbe nel solco dei programmi di voluntary disclosure che si sviluppano secondo le linee guida Ocse e quindi non sarebbe in alcun modo garantito o tutelato l’anonimato, anzi bisognerebbe assicurare piena trasparenza del patrimonio mobiliare nascosto al Fisco. Dall’altro lato, c’è il problema di come si determina il momento dell’evasione perché nelle cassette di sicurezza non c’è tracciabilità del momento dell’immissione delle somme. E quindi potrebbero anche essere decaduti i termini di accertamento.
di Giovanni Parente
Fonte: Il Sole 24 Ore