Vengono chiamati ‘risparmiatori’, gli italiani che hanno investito in banche locali mal gestite e/o palesemente corrotte. Ma non sono affatto risparmiatori: sono persone ben connesse con il potere politico ed economico del territorio, che avevano un solo scopo: speculare e fare uso di informazioni riservate, nelle rispettive citta’ di riferimento.
Il 98% dei cittadini ‘normali’, infatti, non possiede bond o azioni bancarie, non ha in portafoglio obbligazioni subordinate, non ha un deposito o un conto corrente superiore ai 100.000 euro (la soglia oltre la quale non sono previsti salvataggi).
Per quale motivo, allora, si continua a perpetuare la farsa italiana dei bail-out e bail-in e degli aiuti a istituti bancari decotti che si sono distinti per anni solo per aver elargito credito ai soliti noti (imprenditori e affaristi) accumulando sofferenze colossali di miliardi e prestiti irrecuperabili, con perdite di bilancio monstre?
Banche: Popolare Vicenza e Veneto Banca verso il crack. Niente salvataggio
Ecco spiegato come banchette corrotte di provincia – come la Banca Popolare di Vicenza o Veneto Banca – che non rappresentano un rischio sistemico globale per il sistema finanziario del paese, dovrebbe essere abbandonate a se stesse, ovvero ai propri azionisti e obbligazionisti, ed essere lasciate fallire. Ci vuole un sano repulisti e un minimo di elementare buon senso economico.
Banche: MPS nazionalizzata, vicino l’ok Ue. Il destino di Veneto Banca e Pop. Vicenza
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“Siamo nelle mani del governo”. Lo ha detto il presidente della Banca Popolare di Vicenza, Gianni Mion, parlando della situazione dell’istituto veneto, prima del suo ingresso nella sede milanese, dove è in corso il Cda.
La riunione servirà a fare il punto della situazione dopo il diktat di Bruxelles che ha chiesto l’iniezione di capitali privati per consentire il salvataggio attraverso la ricapitalizzazione precauzionale.
Dopo il Cda di Bpvi si riunirà quello di Veneto Banca.
GUZZETTI, DA NOI NON PIU’ UN EURO
“Le Fondazioni associate in Acri non intendono mettere più un euro”. Lo ha detto all’ANSA il presidente di Cariplo e dell’Acri Giuseppe Guzzetti interpellato sul miliardo in più ‘da privati’ chiesto dall’Ue per il salvataggio delle banche venete.
Ieri il ministro Padoan ha escluso un ‘bail-in‘, chi metterà questo miliardo? gli è stato chiesto.
“Bisogna chiederlo a Padoan. Come Fondazione non li metto”, ha detto a margine di un convegno Guzzetti. “Abbiamo già messo 538 milioni” attraverso il Fondo Atlante “e vedremo che fine faranno. Sono molto esplicito”.
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La domanda è sempre una: è giusto salvare le banche che falliscono? Chi perora la causa dei bail out (salvataggio con soldi pubblici) ritiene che la banca, da intermediaria, ricopra un ruolo speciale nell’economia. Che un suo fallimento, dunque, sia troppo dannoso per il sistema nel suo insieme e dunque non debba essere permesso. Non c’è dubbio che le conseguenze del fallimento di una banca siano gravi. Ma il bail out è una soluzione che va contro le leggi del mercato. E prima o poi la realtà si può vendicare.
Per comprenderlo, occorre ripassare un po’ di dati di realtà. Primo: perché una banca è fallita? Perché, evidentemente, ha concesso troppi prestiti azzardati, si è esposta eccessivamente, ha effettuato cattivi investimenti. In poche parole: ha commesso errori troppo gravi per continuare a stare sul mercato. E il mercato, che non è un casinò né un ente di beneficenza, è prima di tutto un procedimento di scoperta. Il fallimento è quel momento in cui scopri di avere sbagliato tutto, in buona o mala fede. In una logica di mercato, il fallimento serve. Non si devono confondere le proprie aspirazioni con la realtà: chiunque spera di vincere, di vivere sempre meglio, di evitare ogni rischio, ma, se hai fallito, vai fuori dal gioco.
Questo vale per le banche, così come per ogni attività commerciale. Che cosa succede, quando aiutiamo una banca a non fallire, in forza del suo presunto ruolo speciale nella società? Impediamo ad amministratori, soci, azionisti e correntisti di capire fino in fondo di aver sbagliato. Si può sempre dire che, d’ora in avanti, non ripeteranno più gli errori del passato. Ma chi garantisce che vogliano imparare la lezione? E chi controlla che rispettino le regole, d’ora in avanti? Se assumiamo che in quella banca, dopo il bail out, arrivi il “cavaliere bianco” a salvare tutto, allora possiamo dormire sonni tranquilli. Ma i cavalieri bianchi esistono? La realtà ci mostra, più che mai, persone che fanno i propri interessi individuali. Non è da escludere che vogliano commettere gli errori che hanno portato al fallimento, perché questi rendono. E, in caso di salvataggio, continueranno a rendere.
Ma non vogliamo salvare i correntisti, almeno? È giusto coprire i poveri correntisti con un fondo di garanzia. Altrimenti, a fronte del rischio di perdere tutto, chi depositerebbe più i suoi soldi in banca? Dobbiamo però smettere di considerare il correntista come un bambino (e lo Stato come una mamma). Il correntista è, per legge, una persona adulta e in grado di intendere e di volere. Se vede dei rendimenti troppo alti, può anche capire da solo che gli vengono proposti investimenti a rischio.
Se è un dipendente della banca che gli consiglia di acquistare prodotti di quella stessa banca, può intuire che è conflitto di interessi e che è meglio documentarsi anche altrove prima di investire tutti i suoi soldi in quei prodotti. In ogni caso, una persona adulta è consapevole che i rischi esistono e che dunque si deve diversificare. Chi perde tutti i risparmi a causa del fallimento di una banca, si metta una mano sulla coscienza e si chieda quanto male si è fatto. Da questo punto di vista, il fallimento è una procedura di scoperta anche per il semplice correntista.
In caso di bail out, chi paga? Paga il contribuente, a sua insaputa, con i soldi delle tasse. Contrariamente al correntista, il contribuente non ha realmente mai avuto colpe per il fallimento di quell’istituto creditizio che si vuole salvare. Eppure è lui a pagare il prezzo degli errori altrui. È un principio morale? È questo il significato di “bene generale”?
Un’ultima nota per chi teme il Diluvio Universale: fallire non vuol dire “morire”. Nella storia dei più grandi imprenditori ci sono anche fallimenti e rinascite. Chi fallisce ha avuto un segnale chiaro di errore ed è incoraggiato a non ripeterlo la prossima volta, quando si rimetterà in pista. È, di sicuro, la miglior garanzia che non faccia più quel che ha fatto in passato. Su questo, la legge italiana non aiuta, perché tratta il fallito come fosse un colpevole e penalizza la sua ripartenza.
La cultura italiana, collettivista e comunitarista, ci mette del suo, pretendendo di trasformare un’attività che punta al profitto privato in pubblica beneficenza, sicché il fallito è accusato moralmente di aver fatto perdere ad altri posti di lavoro e soldi. Ma a voler ben vedere, una società fatta di falliti salvati dalla mano pubblica (cioè dai nostri soldi di contribuenti) è una società di zombie, gente che ripete compulsivamente i suoi errori e non muore mai, continuando a provocare danni agli altri. È molto più pericolosa di una sana selezione naturale del mercato.
nerio
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La strategia della tensione l’hanno collaudata prima su di noi, avete letto la recente intervista a Killary dove racconta con quale passione e interesse ha letto i 4 libri di Elena Ferrante?
peter pan
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Sliding doors.… Devo ammettere, se c’è un film che mi ha veramente colpito un po’ di anni fa è proprio questo. Ah!, se si potesse applicare questo miracoloso sistema alla vita di ogni giorno….. ma non è possibile, altrimenti mi piacerebbe tanto veder fallire queste banche e vedere poi l’effetto che fa, senza peraltro subirne le conseguenze disastrose. Non è bastata la Lehman Brothers? Anche in questo sito ci sono alcuni che urlano al disastro e poi così si riparte da capo… Non ho soldi con queste banche, non ho azioni nè obbligazioni subordinate ma dico solo che non stiamo parlando della cassa rurale ed artigiana di Pizzighettone (se esiste chiedo scusa). Quello che invece dovrebbe veramente succedere è che la DIRIGENZA “CHE SAPEVA ED HA PERMESSO” ANDASSE IN GALERA unitamente al collegio sindacale se coinvolto ed i loro beni venissero totalmente confiscati, altro che mandare ai servizi sociali un Berlusconi che ha sempre pagato tasse esorbitanti e che poi viene condannato perchè, forse, ha evaso il fisco per una sciocchezza (in proporzione) e perchè “non poteva non sapere”. Ma possibile che nessuno se ne renda conto?
Buon fine settimana.
aglaia
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robyuankenobi
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