A questo scopo il ministero delle Finanze ha incaricato Rothschild di cercare investitori privati interessati e al momento quella di Intesa è l’unica offerta ufficializzata. No comment dalla Commissione Ue, nessun commento dal Mef.
Intesa Sanpaolo dà la sua disponibilità ad acquistare a un prezzo simbolico Pop Vicenza e Veneto Banca, una volta ripulite dagli asset deteriorati e rischiosi in modo che l’operazioni non abbia impatto sul Cet1 della banca e sulla politica di dividendi.
Lo dice una nota dell’istituto, che quindi esclude aumenti di capitale e subordina l’operazione a precise garanzie sulle copertura dei costi e dei rischi legati all’acquisto.
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La disponibilità di Intesa, deliberata all’unanimità dal Cda, riguarda “l’acquisizione di un perimetro segregato che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), i crediti in bonis ad alto rischio e le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all’acquisizione”, spiega la nota.
Per procedere con l’acquisizione sarà quindi necessario un intervento legislativo che porti allo scorporo degli asset deteriorati e rischiosi in una bad bank, assicurando al tempo stesso che l’acquisizione delle good bank da parte del gruppo guidato da Carlo Messina sia neutrale sotto il profilo del capitale e della politica di remunerazione degli azionisti di Intesa.
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Dovrà essere inoltre previsto, sempre all’interno di una cornice legislativa “approvata e definitiva”, un meccanismo che assicuri “la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione e la sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni comunque avanzati nei confronti di Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite”.
Secondo quanto riferito ieri da alcune fonti vicine alla situazione, la bad bank sarà finanziata dallo Stato e dal ‘burden sharing’ di azionisti e obbligazionisti. Considerato che avrà in portafoglio circa 20 miliardi di crediti inesigibili o dubbi, la bad bank potrebbe necessitare di circa 5 miliardi.
Secondo alcuni giornali anche la good bank riceverebbe una dote dallo Stato prima della cessione. Il calcolo di alcuni analisti vede la good bank ricapitalizzata per 2,5 miliardi.
Sul fronte dei costi legati all’acquisizione delle good bank, nei giorni scorsi la stampa ha parlato di una misura allo studio da parte del governo sugli oneri sociali, volta a facilitare la gestione degli esuberi delle due banche.
Per superare lo stallo della ricerca di capitali privati necessari per la ricapitalizzazione precauzionale delle due venete, stimata in 6,4 miliardi, negli ultimi giorni si è presa con più decisione la strada della separazione degli asset sani da quelli deteriorati, con un’asta per la vendita dei primi.
A questo scopo il ministero delle Finanze ha incaricato Rothschild di cercare investitori privati interessati e al momento quella di Intesa è l’unica offerta ufficializzata.
Restano dubbi sulla percorribilità di questa strada dal punto vista delle normative europee sugli aiuti di Stato. Una fonte Ue ricorda che uno spiraglio esiste, in quanto le norme prevedono la possibilità di utilizzare fondi pubblici per agevolare una liquidazione ordinata, sempre sotto il vincolo del burden sharing.
No comment dalla Commissione Ue, nessun commento dal Mef.
La notizia dell’offerta di Intesa viene accolta con sollievo dalla borsa, spingendo agli acquisti su tutto il settore. Il titolo Intesa ha chiuso in rialzo del 2,45% circa trascinando l’indice dei bancari italiani in progresso del 2,8%. (Reuters)
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Come al solito, alla fine pagheranno i contribuenti
Dunque, le due banche venete verranno finalmente “salvate”, evitando una crisi potenzialmente devastante? E per “salvarle” basterà davvero l’ offerta di un euro arrivata ieri da Intesa Sanpaolo? Sono queste le domande a cui bisogna cercare una risposta nel giorno in cui pare sciogliersi uno dei nodi più intricati del nostro sistema creditizio. Quello di due banche di medie dimensioni che erano forti soprattutto nel forte Nord-Est, ma che all’ improvviso si sono scoperte debolissime.
Oggi hanno un ammanco complessivo di capitale che la Bce calcola in 6,4 miliardi di euro e che vuole venga ripianato non solo dallo Stato, ma anche da soggetti privati. La risposta, nella tecnolingua delle vicende bancarie, sta innanzitutto nel fatto che il governo italiano, con l’ evidente consenso di Bruxelles, si prepara a non evitare il burden sharing, ma vuole dribblare il bail in.
Urge traduzione? Il burden sharing è una sorta di “mal comune mezzo gaudio” in chiave bancaria: se una banca è in dissesto, prima di poter ottenere l’ intervento pubblico, deve far pagare il peso di quel dissesto ai suoi azionisti e ai suoi obbligazionisti che hanno sottoscritto i bond subordinati, ossia la categoria più rischiosa. Il valore delle azioni viene tagliato e così quello delle obbligazioni subordinate (che possono essere anche convertite in azioni).
La regola del burden sharing era valida prima del 1° gennaio 2016, quando con la direttiva europea sulle risoluzioni bancarie – la Brrd – è entrato invece in vigore il più severo bail in: in questo caso, prima che i fondi pubblici possano intervenire, pagano non solo gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati, ma anche le altre categorie di obbligazionisti e infine chi ha oltre 100mila euro depositati sul conto corrente di quella banca.
Un “mal comunissimo”, insomma, ma che rappresenta tutt’ altro che un mezzo gaudio; specie per i correntisti delle banche che finora non hanno mai dovuto affrontare il rischio di un salasso: non è avvenuto nemmeno per l’ Etruria e le altre tre banche sorelle, visto che il governo agì nel novembre 2015 proprio per evitare il loro bail in dal gennaio successivo.
Adesso la scelta italiana appare quella di procedere non a una risoluzione secondo le regole europee, ma a una liquidazione coatta delle due banche in base alle regole nazionali. Le norme comunitarie offrono spazio per farlo, l’ accordo politico con Bruxelles si considera garantito. In questo senso si dribbla la Brrd e si evita il bail in come il ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan aveva più volte assicurato.
Improponibile, del resto, dopo che si sono salvati i correntisti della rossa Mps e quelli della rosata Etruria, toccare gli “schei” dei depositanti in un Veneto più tinto di verde Lega: in campagna elettorale una mossa simile si sarebbe trasformata in un boomerang micidiale per le forze di governo.
Se passerà l’ operazione e Intesa Sanpaolo prenderà a quel prezzo simbolico il meglio che le due banche possono offrire (niente crediti deteriorati, ma nemmeno crediti ad alto rischio) qualcuno dovrà però pagare il conto per il credito di pessima qualità che resterà nelle casse di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Lo faranno azionisti e obbligazionisti subordinati, ma il grosso – una cifra che potrebbe essere vicina ai 10 miliardi – ce lo dovrà mettere lo Stato.
Nessun salvataggio è gratis, ovviamente, e questo lo pagheranno in buona parte i contribuenti. Per capire se ne sia valsa la pena ci vorrà molto tempo, probabilmente anni, durante i quali i commissari che gestiranno le banche in liquidazione cercheranno di recuperare i crediti andati a male a prezzi superiori ai 17-19 centesimi per ogni euro che offrono oggi i fondi specializzati.
Una risposta positiva si può dare invece alla domanda sulla fine dei rischi di contagio per il sistema. Risolvendo il problema delle banche venete si sterilizza quello che pare l’ ultimo grande problema del sistema e restano casi minori di banche in difficoltà, come Carige. È una visione che condividono molti osservatori, come ad esempio Giuseppe Lusignani, vicepresidente di Prometeia, e che ritiene che «a questo punto i casi che preoccupano gli investitori sono drasticamente ridotti».
Ultima domanda legittima: ma allora Intesa-Sanpaolo ha fatto un affare offrendo un solo euro per la parte “buona” delle due consorelle venete? Difficile rispondere di sì, visto che – nonostante le speranze del Tesoro – non si è creata una fila di possibili acquirenti. Nessun altro è stato disposto a offrire nemmeno quell’ euro per avventurarsi nella palude bancaria, pur in parte bonificata, del Nord-Est.
Fonte: la Repubblica
normal
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Poi metto come condizione il licenziamento di tutto il personale e la chiusura odierna di tutte le filiari e di tutte le attivita.
Se si raggiunge questo compromesso una decina di euri son disposto a rischiarli…
peter pan
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Qualcuno mi sa dire dove sono finiti i nostri traders? Senza i loro consigli mi sento come un pisello fuori dal bacello….
ronin
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vedo che la mia proposta di una colletta non è caduta nel vuoto
e anzi vedo che gli intessati a l’acquisto sono in aumento col tempo che passa e che alcuni, egoisticamente, vogliono il tutto per se
ed era per non metterci in concorenza tra di noi che avevo proposto una colletta che può trasformarsi in una divisione in parti uguali tra i partecipanti
non siate troppo avidi nel volere tutto come fa belfagor, ma accontentiamoci di una divisione in parti uguali delle quote di possesso senza andare troppo su col prezzo, tenendo presente che intesa non ha ancora rilanciato al nostro raddoppio della sua offerta
…
belfagor
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peter pan
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Otto euro….. ueh! qui si esagera….. abbisogniamo di banditore d’asta…… sperando non ci mandi affanchiullo.
Comunque vada sarà un sulcesso per i contribuenti.
Mulder
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Non ci puo’ stupire la mancanza di vergogna dei Banchieri Italici…
Banca Intesa infatti vuole pagare un euro, ma solo per la parte buona dei due istituti di credito, ovvero gli sportelli, i beni patrimoniali, i titoli di stato posseduti e i crediti esigibili, ovvero quelli in massima parte detenuti dai poveracci col mutuo o con il micro prestito , mentre lascerà i titoli tossici, i crediti inesigibili o che non si vogliono esigere, le partecipazioni azionarie fallimentari alla creanda “cttiva banca”, che in sostanza si accollerà tutti i debiti e che ovviamente verrà finanziata dallo stato e dai piccoli risparmiatori con in mano le obbligazioni subordinate.
Banca Intesa per ora si accontenta appena di chiedere la messa in mora della democrazia, della giustizia e della stessa Costituzione, esigendo per portare a termine l’operazione una serie di norme che la sollevino da tutte le pendenze legali presenti, che riguardano gli istituti incamerati. Insomma lo Stato, ovvero tutti noi, non è altro che un donatore di sangue affinché i ricchi possano fare affari estorcendo di fatto prestiti a fondo perduto per ripianare le voragini create dagli errori e dagli inganni.
Quanto all’arricchimento privato non c’è alcun dubbio: i soli prestiti personali e al consumo ( senza contare i mutui casa) ammontano ormai a quasi 260 miliardi di euro e con un interesse medio del 9 per cento l’anno, significa per il sistema bancario un trasferimento di circa 24 miliardi l’anno.
E così Banca Intesa che già fa la parte del leone in questo campo si approprierà di molte posizioni sul microcredito al consumo sui quali potrà ampiamente lucrare.
m.mazzoni
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peter pan
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ronin
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che dite?
ci buttiamo e facciamo una colletta per offrire il doppio di quanto offre intesa, cioè 2 euro incece che 1, e a parità di condizioni richieste da intesa
e, se non ho capito male, con 2 euro incece di 1, possiamo avere 2 banche completamente ripulite e con una dote dallo Stato prima della cessione
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