Nei supersconti fiscali sull’elettricità per le imprese manifatturiere, il ministro si è sempre guardato dal ricordare che la manovra ha un “lato B”: tutto quanto verrà tolto dalla bolletta dei (pochi) beneficiari – lo stesso Mise parlava mesi fa di 1,5 miliardi netti – verrà caricato su quella di tutti gli altri. Ossia delle famiglie.
Martedì la Commissione Ue ha rilasciato un molto atteso via libera all’Italia sul cosiddetto schema energivori, uno sgravio miliardario sull’elettricità per le imprese manifatturiere. Una norma in cima all’agenda del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda (nella foto) dall’inizio del suo mandato – già nel suo primo intervento pubblico, un anno fa esatto all’assemblea di Confindustria, le dedicava uno spaio importante. Ma su cui l’azione del ministro si caratterizza da sempre per una grave mancanza di trasparenza e accountability verso la cittadinanza, che pure è chiamata a pagare il conto dell’operazione.
Il meccanismo, come alcuni ricorderanno, si richiama alla normativa europea, che consente a certe condizioni ed entro certi limiti di esentare i consumatori industriali energivori dal pagamento di gran parte degli oneri di sistema per il finanziamento delle rinnovabili, una voce andata crescendo vertiginosamente negli ultimi anni e oggi pari a quasi un quinto del prezzo finale per le famiglie. Nel 2012 il governo Monti aveva inserito nel decreto legge n. 83 una norma per disciplinare lo sconto, in fase attuativa riservato alle industrie energy intensive di tipo manifatturiero sopra una certa soglia dimensionale.
L’attuazione dei benefici però si era presto arenata per un stop della Commissione Europea, per incompatibilità con le norme sugli aiuti di Stato, innescando una lunga e faticosa fase negoziale, nell’ultimo anno seguita da Calenda in qualità di ministro. Obiettivo far ripartire il meccanismo, sanando il passato e adeguandosi alle regole europee per il futuro. Fase conclusasi martedì con l’ok di Bruxelles a sgravi fino a un 85% della componente A3 per le industrie energivore manifatturiere esposte alla concorrenza internazionale e, relativamente al passato, a un percorso di progressivo adeguamento. Ora non resta che la nuova norma applicativa che il ministero dovrà adottare, che rientrerà nel famoso “pacchetto energia” annunciato dal Mise per fine 2016 e poi rinviato con la caduta del governo Renzi.
Dall’intervento in Confindustria del 2016 a oggi Calenda ha più volte parlato in pubblico della misura, sempre evidenziandone l’aspetto chiave – il riavvicinamento dei costi dell’elettricità dell’industria italiana a quelli dei competitor, tedeschi in testa – oltre che per annunciarne l’imminente attuazione e, non ultimo, un forte incremento del valore. Convenzionalmente stimato in 600 milioni all’anno nella prima versione delle norme ma in effetti probabilmente più elevato (lo studio di NE per Confindustria Energia, basato sul Dl 83/12, parla di oltre 950 mln per il 2015). Evidente il messaggio: più alto il valore, maggiore il beneficio per il sistema industriale.
Quello che però il ministro si è sempre guardato dal ricordare, salvo laconicamente e perché apertamente sollecitato, è che la manovra ha un “lato B”: tutto quanto verrà tolto dalla bolletta dei (pochi) beneficiari dello sgravio – lo stesso Mise parlava mesi fa di 1,5 miliardi netti, cifra però provvisoria – verrà caricato su quella di tutti gli altri. Ossia delle famiglie (che c’è da scommettere non hanno la minima idea di quanto sta per accadere e se ne accorgeranno solo a cose fatte) e delle piccole imprese, sulle quali l’incidenza degli oneri di sistema è anche più alta che per i clienti domestici.
Ora è fuori discussione la facoltà di un governo di effettuare simili scelte redistributive a scopo di politica industriale, purché in accordo con le norme nazionali e Ue. Da notare peraltro che l’Italia non è sola: la Germania ha norme analoghe in vigore da tempo, che rendono la bolletta delle famiglie tedesche oggi più elevata di quella italiana (anche se i confronti andrebbero fatti anche in rapporto a reddito e potere d’acquisto).
La questione è un’altra: tra i soggetti a cui il ministro dovrebbe rendere conto di scelte simili non c’è solo Confindustria. Se un’operazione redistribuisce una cifra – se confermata – pari al 10% di tutti gli oneri di sistema elettrici, chi ne sostiene il peso deve esserne a conoscenza. E non perché lo chiede ma ancor prima perché è compito di chi governa rendere conto alla cittadinanza delle decisioni che impattano su di essa. Tanto più se quello di cui Calenda fa parte è il terzo esecutivo dall’ultima volta che si è andati a votare. E ancora di più se come sembra il ministro coltiva qualche ambizione per le prossime legislature.
L’impressione, sgradevole, è invece che Calenda abbia preferito il basso profilo, per portare a casa una misura obiettivamente impopolare – ma non certo indifendibile – con la minore pubblicità e quindi le minori contestazioni possibile. Non certo il miglior biglietto da visita per chi si candida a guidare il Paese.
Fonte: Staffetta Quotidiana
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