Perché esistono gli speculatori? Perché non esistono regole che li fermino. Almeno in Italia, visto che da un’analisi del Sole 24 Ore è emerso come la parte speciale del diritto penale dell’economia risale addirittura al secondo Dopoguerra.
“Il nucleo centrale dei reati economici è rimasto congelato al periodo della seconda guerra mondiale; la legge fallimentare risale al regio decreto del 1942, così come il Codice civile (contenente la disciplina degli illeciti penali societari)”, scrive il quotidiano della Confindustria, “e se naturalmente nel corso degli anni si sono succeduti interventi modificativi, anche significativi, il limite di fondo è consistito nel loro carattere random, così smarrendosi una veduta d’insieme”.
Il risultato è un “sistema frammentato e per nulla omogeneo, dove alla visione dirigista e autocratica originaria si è contrapposta una politica di deregulation (più apparente che effettiva), che ha rappresentato la base per la creazione dello spazio penale”.
L’Italia è lontana dagli standard internazionali, o quantomeno quelli dei paesi occidentali più avanzati. “L’assenza di linee guida stabili e condivise e la mancanza di un testo unico hanno funzionato da framework per la giurisprudenza, che si è distinta quale centro di adeguamento sincronico della normativa al caso concreto. Un formante giurisprudenziale – sia detto per inciso – di cui il legislatore ha goduto i frutti, volutamente lasciandosi espropriare di un ruolo decisorio molto spesso impopolare”.
I tempi corrono, recita lo slogan dello spot di una delle banche più conosciute nel Paese, ma la politica, e di rimando la giustizia, sembrano non averlo ben compreso. Una dimenticanza? Sempre secondo Il Sole “la tutela penale di impronta tradizionale era, a ben vedere, incentrata e costruita intorno a magneti contrari: un assetto statico, poco permeabile alla trasformazione, territorialmente limitato e protetto dallo scudo della sovranità nazionale. Da qui un catalogo di reati che, pur nella varietà dei settori presi di mira, tradiva la medesima impronta genetica, cioè la repressione di condotte di danno, sovente in pregiudizio dello Stato e comunque dello status quo ante, impregnato del delicato equilibrio della libera iniziativa privata, garantito tuttavia dalla generosità della mano pubblica”.
Un pezzo di responsabilità va comunque condiviso con l’Europa. La terribile matrigna che ci impedisce di crescere. E di progredire: “Proprio del resto la crisi economica e i vincoli di bilancio europei hanno innescato un corto circuito, da un lato responsabile dell’incremento della criminalità d’impresa, dall’altro di una politica penale alternativa”. Infatti “paradigmatica al riguardo la legislazione in tema di lotta al riciclaggio e alla corruzione, con il parallelo ricorso a forme di controllo interno, in chiave di ostacolo alla commissione di reati da parte dell’apicale o del dipendente; il decreto legislativo 231/2001 e l’allarmante e scomposta appendice testimoniano il percorso segnalato, modellato sulla falsariga della colpa d’organizzazione”.
C’è anche un altro aspetto da valutare, “l’accentuazione del protagonismo delle autorità di controllo, immaginato quale tampone a comportamenti fraudolenti nei confronti del risparmiatore”, però “al di là dei risultati (modesti) e delle falle registrate, l’imposizione esasperata di strumenti di compliance ha incontrato timidi consensi nella media e piccola impresa, viceversa generando un eccesso di regolamentazione che ha ingrossato la palude burocratica”.
Un domino che arriva a toccare altri gangli del sistema Italia. “L’altra faccia della medaglia è condensata infine nelle politiche premiali, dalla criminalità tributaria a quella ambientale, e nuovamente all’anticorruzione e antiriciclaggio”, riporta l’analisi del Sole 24 Ore. “Incentivazione nel promuovere virtuosismi riparatori secondo scalini decrescenti: dalla previsione di soglie di punibilità per accentuare la residualità dell’intervento penale in proporzione alla gravità dell’offesa, all’estinzione del reato subordinata alla restituzione del maltolto entro termini di decadenza processuali, per finire – conclude – con l’ingresso di attenuanti mitigatorie della pena quale ricompensa alla collaborazione e al pentimento operoso”.
robyuankenobi
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