La moglie che chiede e ottiene dalla banca notizie sull’estratto conto del marito, da usare poi nella causa di separazione, non viola nessuna norma sulla privacy. La Corte di cassazione, con la sentenza 20649, respinge il ricorso dell’uomo che chiedeva alla moglie i danni per avere invaso illecitamente il suo diritto alla riservatezza dei dati. Il ricorrente, sottolinea la Suprema corte, «ha denunciato l’errata interpretazione di imprecisate norme del Dlgs 196 del 2003 in tema di privacy e trattamento dei dati sensibili». Per la Cassazione però il suo ricorso è inammissibile.
Con l’ordinanza impugnata la Corte d’Appello aveva richiamato la motivazione dei giudici di prima istanza secondo i quali nel richiedere informazioni o documenti all’istituto di credito la signora non aveva violato nessuna norma di legge nè aveva tenuto un comportamento fraudolento. In più la Corte territoriale aveva aggiunto che l’attore non aveva offerto alcuna indicazione del danno che riteneva di aver subìto.
Nel 2015 (sentenza 20106) però la Cassazione aveva accolto il ricorso del Garante privacy e condannato la banca, per aver fornito, senza un’espressa autorizzazione, ad auna moglie i dati, da utilizzare nell’ambito della separazione e dunque «per fini estranei al rapporto contrattuale instaurato con la banca». In quell’occasione i giudici avevano affermato il diritto ad ottenere il risarcimento che può scattare anche senza la necessità che il correntista subisca un danno concreto: basta solo il fatto di essere stato vittima di una fuga di dati.
Fonte: Il Sole 24 Ore