Web tax italiana arma a salve, il governo non ha idea di come realizzarla

Da aprile mancano i decreti attuativi e Padoan scarica le responsabilità: "Deve essere imposta a livello internazionale".

I colossi di Internet possono dormire sonni tranquilli, almeno in Italia. Al momento la tanto sbandierata web tax, introdotta dalla manovrina correttiva in aprile, è poco più di una pistola a salve nelle mani dello Stato nella battaglia contro delle superpotenze planetarie dotate di arsenali di ultima generazione.

Ad oggi, infatti, non esiste ancora uno straccio di decreto attuativo che permetta di funzionare la misura che, in teoria, dovrebbe recuperare tutto ciò che le major del web hanno eluso nel pagamento delle tasse sugli ampi guadagni effettuati nel nostro paese. Ma l’aspetto peggiore di questa vicenda è che il governo non ha la minima idea di come far funzionare il provvedimento e si rifugia nel caldo e fumoso alveo delle istituzioni internazionali, a loro volta incapaci di trovare una soluzione per impedire che poche grandi aziende possano proliferare negli introiti restituendo molto meno di una piccola parte in imposte e contributi.

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Ad ammetterlo candidamente è stato proprio il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in un’intervista rilasciata nel pomeriggio di giovedì 3 agosto: “Stiamo lavorando anche a quest’ipotesi, ma una web tax effettivamente generalizzata deve essere imposta a livello internazionale”. Tradotto, significa che non c’è nessuna idea di come si possa realizzare e soprattutto come applicarla.

Meglio affidare la patata bollente ad altri: “Ci sono istituzioni, come l’Ocse, che stanno studiando questi aspetti, nel frattempo cerchiamo anche noi di capire come si può far pagare tasse giuste a imprese che hanno profitti giganteschi e che sono tassate in modo ridicolo”, ha aggiunto Padoan, che si è rifugiato nel più classici dei cliches: “è anche una questione di equità fiscale che va perseguita, ma è molto difficile sul punto di vista dal punto di vista tecnico e della formulazione delle implementazioni”. Facebook, Google, Amazon e gli altri ringraziano.

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Upb, dubbi sulla web tax introdotta dalla manovrina: incentivo a rimanere nell’ombra

Dubbi sull’efficacia della web tax, introdotta nell’aprile scorso dalla manovrina. Li avanza l’Ufficio parlamentare di bilancio con il Flash “Interventi antielusione e imprese digitali: le misure nella recente «Manovrina»”. Sull’efficacia della web tax, si legge nel Flash, «è legittimo nutrire alcuni dubbi: proprio le imprese digitali, infatti, potrebbero essere incentivate a rimanere “nell’ombra” sfruttando i margini di elusione dei quali dispongono e cercando di differire la contrattazione dell’onere tributario. La convenienza ad aderire alla procedura sarà tanto maggiore per imprese per le quali un accertamento ordinario è più probabile e rischioso».

Per Google e Facebook ricavi tassati in Italia non superano lo 0,3% – L’Upb spiega che «la convenienza per le imprese, e per il Fisco, dipende anche dalla valenza del vincolo, previsto dalla norma, di 50 milioni di ricavi prodotti in Italia in uno dei tre anni precedenti». Il report segnala il caso di due over the top, Google e Facebook: nel 2015 i ricavi dichiarati e tassati in Italia non superano rispettivamente lo 0,3 per cento e lo 0,1 di quelli europei, a fronte di transazioni localizzate nel nostro Paese stimate dall’Upb in circa il 2,4 cento e il 2,8 per cento, come ricordato nel corso dell’audizione del marzo scorso dinanzi alle commissioni riunite Finanze e Industria del Senato.

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È una sanatoria preventiva e volontaria – Per l’Upb la procedura introdotta « si configura come una sorta di sanatoria preventiva e volontaria, con una regolarizzazione agevolata delle posizioni fiscali pregresse e la garanzia per gli anni futuri di un trattamento basato sull’accordo e la collaborazione tra impresa e Amministrazione» attraverso l’ammissione al regime di adempimento collaborativo introdotto nel 2015.La scelta «conferma, in assenza di un coordinamento internazionale, l’oggettiva difficoltà dei singoli Paesi di risolvere le complesse questioni tributarie legate alla diffusione dell’economia digitale».

Il ddl Mucchetti prevede una penalizzazione – Diversamente, si evidenzia nel Flash, il Ddl 2526 (il cosiddetto “Ddl Mucchetti”), che interviene sui medesimi temi ed è attualmente in discussione al Parlamento, «prevede una penalizzazione, con forte incentivo per le imprese a regolarizzare la propria condizione di stabile organizzazione per l’elevata entità del prelievo alla fonte in caso di mancata regolarizzazione».

Tentativo per salvaguardare livelli minimi di gettito – Insomma secondo l’Upb «la misura contenuta nella ‘manovrina’ appare un tentativo di reagire alle pratiche più aggressive di concorrenza fiscale di altri paesi e per salvaguardare livelli minimi di gettito. Resta da valutare il trade-off tra l’efficacia, in termini di reale emersione di basi imponibili, di misure ad hoc e la coerenza con i principi generali del sistema tributario».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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