Alcune caselle sono ancora da riempire ma il grosso è stabilito. Sarà un governo politico, con ministri del M5S, scelti tra chi si è creato una competenza e chi è diventato candidato mediatico grazie alle comparsate in Tv.
Alla fine hanno creato un ceto politico, hanno una classe dirigente e la democrazia dell’uno vale uno non vale più. E così tutto era pronto già a gennaio, quando sembrava che la situazione sarebbe precipitata, che le pulsioni di sopravvivenza politica di Matteo Renzi avrebbero portato al voto in primavera. Il M5S ha un piano che è stato affinato fino a questi ultimi giorni. Sta accelerando i lavori sul programma affidato alla Casaleggio tramite la piattaforma Rousseau, e ha disegnato il primo vero organigramma della squadra di governo che è stato anche annunciato, assieme ai punti più forti del programma, in diversi colloqui con ambienti diplomatici di ambasciate straniere. Molti dei nomi di questa sorta di governo ombra sono noti, sono le stelle più brillanti nel firmamento mediatico del Movimento, allevati attraverso l’imponente macchina comunicativa gestita anche con una cura massiccia di ospitate tv.
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Alcune caselle sono ancora da riempire ma il grosso è stabilito. Sarà un governo politico, con ministri del M5S, scelti tra chi si è creato una competenza ed è diventato il frontman nel settore. Ovviamente verrà premiato il livello di fedeltà ai vertici. Qualche poltrona, tra le più pesanti, sarà destinata invece a figure tecniche di alto profilo. Di sicuro il ministero dell’Economia, per il quale si studia una rosa di nomi, ma forse anche il Viminale a cui potrebbe finire un magistrato, sempre che non venga conservato per Alessandro Di Battista.
Ma andiamo con ordine. Candidato premier sarà Luigi Di Maio. E questo ormai non fa quasi più notizia. A Palazzo Chigi, il deputato si ritroverebbe i colleghi della cerchia più fidata. Per Di Battista, l’unico che davvero potrebbe insidiare la sua candidatura, si sta pensando a un ruolo speciale: affiancare Di Maio come vicepremier e avere così le mani libere per poter fare quello che sa fare meglio: andare in tv, tra la gente, mantenere alto il tasso di movimentismo. Dipenderà da lui, perché spiegano fonti M5S, «sarà lui a decidere se fare il ministro». Più che per gli Esteri, però, il suo nome è stato fatto per gli Interni. Alla Farnesina sono in pochi a dubitare che ci andrà Manlio Di Stefano, nonostante le preoccupazioni di chi, tra gli strateghi pentastellati, lo considera «troppo di sinistra, troppo sdraiato su posizioni terzomondiste», anche se sulla ridefinizione della Nato e sui rapporti favorevoli alla Russia è il perfetto portavoce del grillismo.
Se al Viminale dovesse andare un tecnico si potrebbe pescare un nome tra i molti magistrati a cui guardano i grillini. Nino Di Matteo, per esempio, definito l’altra sera «un nostro punto di riferimento» da Di Maio che ha poi svicolato alla domanda se stava pensando al pm per un ruolo da ministro.
Alla Giustizia invece, per evitare accuse di compromissioni con il potere giudiziario, dovrebbe andare Alfonso Bonafede, deputato-avvocato e già fidatissimo commissario degli Enti locali con licenza di salvare la giunta Raggi a Roma. Quando scherzosamente in Transatlantico lo chiamano ministro, Bonafede fa le corna per gli scongiuri. Nello stesso dicastero avrebbe un ruolo Giulia Sarti mentre per l’altro commissario in Campidoglio, Riccardo Fraccaro, potrebbe essere creato un ministero ad hoc che sarebbe piaciuto a Casaleggio padre: il ministero della Democrazia diretta, che a oggi suona quasi come un omaggio simbolico ai sogni fondativi del M5S. Per Danilo Toninelli, il volto della legge elettorale, la destinazione non può che essere quella delle Riforme.
Alla Sanità il nome scelto- con qualche dubbio – è quello di Giulia Grillo, medico legale di professione. Amatissima dai vertici e dalle folle, anche Paola Taverna, autrice della legge sullo screening neonatale (la prima M5S approvata in Parlamento), verrebbe premiata con un sottosegretariato alla Salute. Come concessione all’ala più ortodossa non viene escluso l’attuale presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico alle Telecomunicazioni, per la grande riforma di Viale Mazzini a cui tiene tantissimo Grillo. Mentre è ancora da capire se verranno recuperate con un qualche ruolo governativo le due deputate non più nelle grazie del comico, Carla Ruocco (che è comunque tornata a scrivere sul blog di temi finanziari) e Roberta Lombardi, che ha ricucito con Davide Casaleggio, con il quale di recente ha affrontato i temi della sicurezza.
Un capitolo a parte è riservato all’Economia. L’unica certezza è che sarà un tecnico. Qui il M5S si gioca tutto: perché il programma prevede misure forti come il reddito di cittadinanza e il referendum sull’euro, con il grosso delle prime fila dei parlamentari che tifa per l’ uscita se non ci saranno concessioni dalla Germania e dall’Ue. Tra i nomi degli economisti c’è per le sue critiche alle politiche Ue Luigi Zingales, che già un anno fa smentì di lavorare al programma dei 5 Stelle. Per vicinanza di tesi, gli altri nomi sondati sono Nino Galloni, Antonio Maria Rinaldi e il solito economista enti-euro Alberto Bagnai. A questi si aggiunge Leonardo Becchetti, professore che ha già lavorato con il Movimento sul lavoro e sulla «biodiversità bancaria». Potrebbe essere a lui che il Movimento affiderà la suggestiva idea di creare un dipartimento Anti-povertà (sotto il ministero del Lavoro) per comporre la legge sul reddito di cittadinanza, la legge su cui Grillo e Di Maio si giocano la vittoria.
Fonte: La Stampa
“Casting di mille esperti di governo per non ripetere gli errori di Roma”
Quanto è facile trasformare un sogno in un incubo? È la domanda che Beppe Grillo tiene bene in mente quando immagina il M5S al governo dell’Italia e al contempo guarda alle condizioni di Roma. Una è una possibilità, l’altra è già realtà e non gli fa dormire sonni sereni.
Ecco perché Grillo non vuole più commettere errori e vuole arrivare all’appuntamento elettorale in maniera impeccabile. Perché, al di là delle dichiarazioni di facciata e delle fiducia ostentata, Grillo sa che quanto accaduto con la sindaca Virginia Raggi è l’esempio lampante di quello che non va più fatto: «A Roma abbiamo sbagliato, siamo arrivati impreparati e non possiamo permetterci di farlo di nuovo se andremo al governo» ha ripetuto ieri a chi lo ha incontrato a Roma.
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Il M5S in versione governativa cerca fuori dai propri confini tradizionali il personale che andrà a rinforzare la squadra di Palazzo Chigi. Sottosegretari, dirigenti, funzionari, consulenti, e anche qualche ministro di peso. Beppe Grillo spara un numero: «Ci serviranno mille persone perbene – ha detto – E dobbiamo cercare i migliori». I migliori magistrati, professori, avvocati, ingegneri che vogliano partecipare al primo governo dei 5 Stelle. Un governo che avrà in larga parte ministri politici come volti e portavoce, ma dietro ai quali si muoveranno quegli esperti che dalle diverse categorie si stanno già avvicinando alla causa di Grillo. Al netto degli opportunismi di carriera, di chi è pronto a salire su un carro lanciato verso la vittoria, il comico sa che questo interesse è crescente, annusa un clima diverso, meno ostile verso il Movimento. Lo aveva notato durante il convegno sul lavoro del futuro, organizzato dai deputati grillini, e ne ha trovato conferma ieri, seguendo gli interventi al dibattito sull’acqua pubblica che si è tenuto alla Camera.
C’è una fetta di accademici pronti a prestare le proprie competenze, come ci sono ex generali e alti ufficiali in cerca di un accreditamento verso i rampolli del M5S come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Il casting è partito già da qualche mese, dalla fine del 2016, da quando il Movimento ha cominciato una serie di colloqui informali con economisti, magistrati, giuslavoristi, esperti di ambiente e di difesa, per sondare la loro disponibilità a dare una mano agli inesperti grillini che altrimenti arriverebbero al potere orfani di una classe dirigente e di una struttura di funzionari fedeli alla missione del Movimento. Esattamente come è successo a Roma. E il ribaltone sul ribaltone di Genova, deciso a tavolino da Grillo dal terrazzo della sua villa di Nervi, che ha mandato al diavolo anni di parole sulla democrazia partecipata, va letto tenendo presente il pasticciaccio della Capitale. Anche a Roma, come ha fatto a Genova la consigliera regionale Alice Salvatore contro Marika Cassimatis, c’era chi, la deputata Roberta Lombardi, aveva messo il leader genovese in guardia dalla vincitrice delle primarie, Raggi, e dagli uomini di cui aveva scelto di circondarsi, su tutti Raffaele Marra e Salvatore Romeo. Solo che a differenza di Salvatore, Grillo aveva scelto di lasciare fare alla sindaca, isolando Lombardi. Un rischio che non vuole più correre: e così per non mettere una toppa dopo – con assessori inviati dalla Casaleggio Associati, deputati spediti in Campidoglio a supervisionare il lavoro della giunta – ha preferito optare per lo strappo preventivo, liquidando la legittima candidata e la sua lista di consiglieri in odore di eresia.
Per tutti questi motivi, la frase che va ripetendo Grillo, «non possiamo più fidarci di chiunque», porta con sé diverse conseguenze in vista delle politiche: ci sarà sì una ristrutturazione dei meet-up, e verrà ripensato il metodo di selezione degli eletti, ma è pronto anche un lavoro di selezione dei nomi che dovranno affiancare i ministri scelti tra i 5 Stelle. Gente che sulle banche, sul reddito di cittadinanza, sull’immigrazione, sull’euro e sull’Europa, la pensa come il M5S e che può garantire a Grillo di non avere brutte sorprese dopo le elezioni.