Paul Manafort ha alle spalle la storia professionale di chi ha sempre lavorato per uomini forti. Con una carriera di oltre 40 anni spesa a Washington come lobbista e stratega o maxi consulente politico, Manafort e le sue varie societa’ hanno “consigliato” (non nell’ordine) un gruppo aziendale legato a Ferdinando Marcos, il dittatore delle Filippine; Viktor Yanukovych, il presidente dell’Ucraina amico e alleato di Vladimir Putin, cacciato prima dell’attuale premier dimessosi oggi Arseniy Yatsenyuk; e Lynden Pindling, ex primo ministro delle Bahamas accusato di legami con in narcotraficantes.
Da oggi Paul Manafort lavora per Donald Trump, sara’ il manager della campagna elettorale del candidato repubblicano alle presidenziali, in una corsa alla Casa Bianca sempre piu’ controversa e ricca di sorprese. Manafort e’ un insider che giochera’ un ruolo chiave negli ultimi 3 mesi delle primarie, prima di arrivare probabilmente a una convention “contestata” o “aperta” del GOP a Cleveland in luglio, ovvero in cui nessuno dei candidati del partito repubblicano avra’ la maggioranza richiesta dei delegati, pari a 1237.
Per la maggior parte della sua carriera, Manafort ha fatto parte proprio di quell’establishment del partito repubblicano battendosi contro il quale Trump, come candidato, ha fatto le sue fortune, sfruttando la rabbia degli americani bianchi della clase media impoverita contro i politici di Washington. Il nuovo manager del miliardario si era anzi fatto un nome megli anni passati lavorando alle campagne elettorali di alcuni degli uomini di punta del partito repubblicano, nomi come gli ex presidenti Gerald Ford, Ronald Reagan, George H.W. Bush e il candidato presidenziale Bob Dole.
Amici, lobbisti ed ex nemici dicono tutti che Trump ha scelto con Manafort l’uomo giusto per il ruolo. Proprio nel momento in cui il fenomeno Trump rischia di offuscarsi. Finora la vittoria alle primarie era stata assicurata giocando su controversie mediatiche e sull’uso sapiente da parte del tycoon di polemiche costruite su pochi concetti e slogan; piu’ che una linea politica Trump ha fatto presa sul suo essere appunto un “esterno” ai processi decisionali di Washington, un candidato politicamente scorretto che ha sbaragliato quasi tutti i 17 oppositori, lasciando alla fine a competere con lui l’evangelico Ted Cruz e il governatore dell’Ohio Kasich.
Adesso Manafort deve garantire competenze che Trump non ha e non avra’ mai, il conoscere la complicata macchina elettorale americana, per assicurasi i 1.237 delegati utili a vincere la nomination. E’ un lavoro capillare di convincimento e di contatti personali, persona dopo persona, con promesse e alleanze sotterranee, caso per caso. Se Trump alla fine ottenesse solo 1200 delegati invece del quorum previsto, i vertici del partito gli negherebbero la nomina alla convention di Cleveland.
La strada per novembre e’ ancora piu’ in salita per il miliardario. Trump infatti ha il massimo sfavore possibile di tutti i candidati alla Casa Bianca degli ultimi 30 anni. Un record negativo che, al momento, qualsiasi cosa succeda, pare un fantastico regalo per Hillary Clinton. A meno che alla convention di Cleveland i repubblicani non paracadutino un candidato a sorpresa, togliendo di mezzo con un gioco estremo di trame di potere sia Trump che Cruz. Si parla sempre piu’ spesso dello speaker della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan. Il qaule ieri ha reso pubblico uno spot televisivo (VIDEO SOTTO) che sembra fatto apposta per suggerire che Ryan, 40 anni, si sta preparando per la campagna presidenziale nazionale in vista del voto di novembre.
di Cesare Mais
Leggi anche:
Elezioni Usa: Trump candidato alla Casa Bianca meno popolare degli ultimi 32 anni
Presidenziali Usa: Trump comincia a perdere. E Clinton annaspa
AL VIA LE DEPORTAZIONI. FINTA PRIMA PAGINA DEL BOSTON GLOBE CON TRUMP PRESIDENTE
Deportazioni, scontri, guerra commerciale che fa crollare le borse… Il Boston Globe oggi apre con le notizie dall’America che sarà in caso Donald Trump dovesse arrivare alla Casa Bianca. Una prima pagina finta, dominata da un titolo su un’ondata di espulsioni di immigrati e accompagnata da un durissimo editoriale che invita ad una “attiva e impegnata opposizione” per bloccare il magnate in testa alla corsa per la nomination repubblicana.
“La visione di Donald J Trump per il futuro della nostra nazione è profondamente inquietante e profondamente non-americana”, si legge nell’articolo, secondo cui il controverso imprenditore-politico potrebbe diventare il prossimo “uomo forte armato di demagogia” sulla scena mondiale. Sulla pagina anti-Trump ci sono altri articoli, tra lo scherzoso e il preoccupato, compreso uno che riferisce il rifiuto dei soldati Usa di obbedire all’ordine di uccidere le famiglie dei militanti dello Stato islamico, e un altro che descrivere una crisi diplomatica con la Cina, scoppiata perchè il nuovo leader Usa ha dato al suo cane, uno Shar-Pei, il nome della first lady di Pechino, Peng Liyuan. “Non capisco perchè se l’è presa tanto, mi piacciono i cuccioli carini, mi piacciono le donne. Non è come se avessi twittato la foto di un Rottweiler chiamato Merkel,” è il commento, immaginato, del presidente Trump