di Fabio Mini
Non sono molte le occasioni offerte a un militare per esprimere opinioni sulle scelte politiche. E non è molta la disponibilità dei militari a discuterne. Esiste il forte pregiudizio che la politica debbano farla soltanto i politici e i militari debbano occuparsi solo di aerei e carri armati. Salvo poi “fare politica” con le armi, rendendo i servitori dello Stato servi d’interessi contrari alla Costituzione. Perciò ho sempre ritenuto che sia un dovere dei militari esprimere opinioni e giudizi anche su questioni sociali e politiche che riguardano la sicurezza dello Stato. E che sia un diritto e un dovere dei governi e dei legislatori ascoltare anche i loro pareri.
Oggi l’Europa è in guerra: sia perché la ospita entro i suoi confini geografici, sia perché partecipa attivamente con il sostegno politico, economico e militare a uno dei belligeranti. Il nostro Paese è in guerra e ne subisce le conseguenze con la prospettiva di doverne subire di peggiori. La guerra in tutte le sue forme sembra l’unica via d’uscita. Non la guerra metaforica, ma quella reale, materiale, cinetica come diciamo noi militari, che poi siamo chiamati ad affrontare.
Si dice che occorre aiutare l’Ucraina a difendersi e che la difesa dell’Ucraina è la difesa dell’Europa. Che è una battaglia di civiltà e libertà. Ho molti dubbi in proposito e mi domando come mai non ci siamo preoccupati prima delle minacce alla libertà di quegli stessi ucraini quando erano soggetti a una guerra da parte del loro stesso governo. E come mai la preoccupazione della libertà dei popoli non si estenda ad altre popolazioni soggette alle guerre e alle repressioni.
La guerra in Ucraina è un obbligo nei confronti di un Paese aggredito: è vero, ma il ricorso alla forza deve essere approvato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e questo non c’è ancora stato. La Nato si sta solo difendendo: è vero ma per vent’anni ha condotto un attacco subdolo alla Russia e senza autorizzazione ha già attaccato uno stato sovrano membro delle Nazioni Unite. La guerra riguarda Russia e Ucraina: non è vero, riguarda Stati Uniti e Russia e soprattutto riguarda l’intera sicurezza europea. L’Ucraina nella Nato rafforzerà l’alleanza e porterà alla vittoria: non è vero, l’Ucraina è un Paese in guerra e l’inclusione nella Nato porterà al coinvolgimento diretto della Nato e quindi degli Stati Uniti nella guerra. Una clausola fondamentale del trattato atlantico stabilisce che i nuovi membri debbano contribuire alla sicurezza dell’Alleanza.
L’Ucraina in guerra contribuirà alla sicurezza in peggio. Il sostegno all’Ucraina è imposto dalla Nato: è vero, ma le norme del trattato stabiliscono che le decisioni siano prese all’unanimità e questa non c’è. E quando ci dovesse essere sarebbe l’unanimità nella rinuncia a esprimere e far valere la sovranità dei Paesi membri. Si dice che la partecipazione alla guerra è un interesse nazionale che coincide con quello della Nato: non è vero, l’interesse nazionale di Paesi come l’Italia è la cooperazione, la competizione se si vuole, ma non il conflitto.
Se la Nato, come ora, si schiera in guerra fa solo gli interessi di qualche Paese in particolare. L’Italia sta pensando agli interessi nella produzione di armi e nella ricostruzione post bellica dell’Ucraina: vero, il mondo intero sta pensando a questo e oggi occorre valutare quanta parte potrà avere nella ricostruzione. Riuscirà questa parte a compensare le perdite secche che ora stiamo subendo in materiali, economia e finanza?
Abbiamo bisogno di pace: è vero, ma non a qualsiasi costo e nemmeno una pace temporanea che contenga, come tutti i trattati di pace, i semi del successivo conflitto. Le scelte politiche di questo periodo sono importanti e una soluzione del conflitto è possibile sul piano politico-diplomatico come era possibile evitarlo del tutto o interromperlo in qualsiasi momento. Oggi è sempre più difficile negoziare e per farlo occorre rinunciare a qualcosa.
Non servono soltanto le rinunce della Russia e dell’Ucraina: serve un compromesso che salvaguardi la sicurezza europea. La politica deve rispolverare concezioni vecchie, ma collaudate. Per esempio, la de-militarizzazione del conflitto, come quando Iran e Iraq in guerra per dieci anni furono privati degli aiuti esterni; la smilitarizzazione di una fascia di sicurezza in Ucraina e Russia e la neutralità di quei Paesi avviati al conflitto come strumento per diminuire la percezione d’insicurezza dei vicini. Sono tutte cose che sembrano inefficaci e inattuabili e quindi sono state eliminate dalla visione politica orientata in un unico senso: la guerra. Occorre ribaltare l’approccio e considerarle possibili perché la soluzione militare sul campo non solo è impossibile, ma pericolosa qualunque essa sia.
Un’ultima riflessione: “Magari perderò voti, ma il mio programma di governo è:
1. Finire il conflitto in Donbass;
2. Parlare con i russi;
3. Neutralità ucraina”.
Era il 2019 e il neoeletto presidente Zelensky lo dichiarò al Parlamento. Dall’estrema destra gli arrivò un avvertimento: “Non perderà solo voti”. E i comandanti delle milizie in Donbass gli dissero che finire lì e parlare coi russi sarebbe stato alto tradimento. Cambiò idea. Oggi, forse, con le stesse milizie decimate e con la guerra che va avanti solo con il supporto occidentale, si apre paradossalmente la via della demilitarizzazione agendo semplicemente sul sostegno esterno. E si apre la via per il ritorno alle intenzioni di quattro anni fa, con 200mila morti in più.