di Donato Speroni
Diverse notizie di questi giorni fanno convergere l’attenzione sull’inquinamento dell’aria e sulle sue drammatiche conseguenze per la salute umana. Ci preoccupa la nuvola di smog sulla Valle Padana, ma tutto il mondo è a rischio di avvelenamento da aria cattiva. A questo proposito, avevamo già segnalato sul nostro sito uno studio della rivista medica The Lancet che sottolinea l’aumento del rischio nelle città europee a causa dei cambiamenti climatici.
Una nuova ricerca della stessa rivista, diffusa venerdì 20, mostra le dimensioni della minaccia. Scrive l’Independent: “A livello globale nel 2015 sono morte nove milioni di persone a causa dell’inquinamento dell’aria. Buona parte di questi decessi è avvenuta nei Paesi in via di sviluppo, ma anche nei Paesi ricchi c’è un numero consistente di persone che muore a causa dell’aria inquinata e di altri agenti inquinanti”.
Ancor più allarmante il Guardian: “Il più ampio studio globale realizzato finora ci avverte che l’inquinamento minaccia la sopravvivenza delle società umane”.
Non c’è solo lo smog da combustibili fossili. Uno degli aspetti più gravi dell’inquinamento dell’aria, anche se meno avvertito nei Paesi più ricchi, è quello dell’inquinamento prodotto all’interno delle abitazioni a causa dell’utilizzo, per cucinare, di materiali dannosi, prevalentemente biomasse. In questi giorni abbiamo segnalato due recentissime ricerche: la prima, a cura del World Resources Institute, evidenzia che 500 milioni di residenti urbani usano ancora combustibili molto inquinanti, contribuendo all’avvelenamento dell’aria delle megalopoli dei Paesi in via di sviluppo. La seconda, a cura dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, partendo da dati analoghi, raccomanda il clean cooking attraverso la diffusione dell’elettricità e del Gpl.
Quando si pensa alle città inquinate si pensa innanzitutto a Pechino. L’Economist, in aggiunta a tutti i problemi che l’inquinamento cinese scarica sulla popolazione locale e su tutto mondo, segnala che le fabbriche di plastica del Celeste impero producono residui gassosi in tali quantità da prolungare il problema del buco dell’ozono sull’emisfero australe, sconvolgendo la previsione di vederlo colmato entro il 2060.
Cina grande inquinatrice, dunque. Tuttavia, il governo cinese sembra voler affrontare seriamente i problemi che riguardano l’ambiente e più in generale la sostenibilità, anche sociale. Il discorso tenuto il 18 ottobre dal presidente Xi Jinping, al 19° Congresso del Partito comunista cinese, si articola in 13 Sezioni e 14 Principi fondamentali. L’Ottava sezione riguarda il miglioramento del benessere collettivo, “con nuovi approcci alla social governance”, la Nona promette la costruzione di una Beautiful China attraverso lo sviluppo di una “ecological civilization”.
Nel complesso, come fa notare Bloomberg News, nel suo discorso durato più di tre ore Xi ha usato il termine cinese per “ambiente” o altri sinonimi ben 89 volte e solo 70 volte ha parlato di “economia”. Nel discorso di cinque anni fa di Hu Jintao, il predecessore di Xi, l’economia batteva l’ambiente 104 a 74. Molti dei 14 Principi di Xi somigliano agli SDGs, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile del’Onu. Non tutti, certamente, perché Xi dice ben poco sui diritti civili e sull’insieme di valori che si identificano nell’Obiettivo 16 degli SDGs; sappiamo che la Cina ha una lunga strada da compiere in tema di rispetto delle minoranze e di libertà individuale.
Anche con questa doverosa precisazione, un aspetto molto interessante del discorso di Xi è che egli distingue tre momenti: fino al 2020, fino al 2035 e fino alla metà del secolo. Tre fasi di “duro lavoro per fare della Cina un grande Paese socialista moderno, prospero, forte, democratico, progredito culturalmente, armonioso. E bellissimo”.
Fonte: asvis.it