di Piergiorgio Odifreddi
(WSC) ROMA – Di tutte le riforme proposte dai partiti in campagna elettorale, quella più delicata, importante e strutturale riguarda la Costituzione, che stabilisce le regole del gioco della politica. In fondo, quella attuale è in vigore dal 1 gennaio del 1948, e benché qualcuno la definisca “la più bella del mondo”, in realtà fa ormai acqua da tutte le parti. D’altronde, basta ricordare che la Carta è stata redatta in un periodo storico in cui il più avanzato mezzo di comunicazione di massa era la radio, i partiti rappresentavano ideologie definite e contrapposte, la stragrande maggioranza degli elettori andava a votare (sempre sopra il 90%), e ciascuno votava quasi sempre per lo stesso partito.
Oggi i mezzi di comunicazione di massa vanno dalla televisione ai social, i partiti non hanno più ideologie (e spesso neppure idee, a parte l’autoconservazione), i non votanti alle elezioni sono calati drasticamente (74% alle politiche del 2018, 54% alle europee del 2019 e alle amministrative del 2021), e gli elettori cambiano preferenze da un anno all’altro. Non stupisce dunque che qualche partito proponga di fare delle modifiche alla Costituzione. Stupisce invece, semmai, che qualche altro partito se ne scandalizzi: come se i cambiamenti fossero dei gesti eversivi, invece che delle procedure permesse dalla Costituzione stessa.
Ma proprio qui casca l’asino, perché l’articolo 138 permette soltanto revisioni effettuate dal Parlamento, e non fissa né i modi, né i termini per l’elezione di una Assemblea Costituente che ripensi radicalmente l’impianto della Carta, una volta che questa è diventata obsoleta, com’è appunto il caso della nostra. Che così sia anche nella percezione degli addetti ai lavori, lo dimostra il lungo elenco di tentativi di riformarla, dalle Commissioni Bicamerali che si sono succedute dal 1983 (Bozzi) al 1997 (D’Alema), alle revisioni approvate dai governi di turno nel 2005 (Berlusconi) e nel 2016 (Renzi), entrambe bocciate dagli elettori nei referendum successivi. La cosa che preoccupa Letta in questi giorni è che la destra possa approvare a maggioranza semplice una radicale riforma costituzionale, ad esempio introducendo un sistema presidenziale o semipresidenziale, e che poi la riforma venga confermata da un referendum approvativo a cui partecipi soltanto una minoranza degli elettori.
È ovvio che non è così che si fanno le modifiche costituzionali, ma nessuno schieramento politico ha la coscienza pulita al riguardo, neppure quello di centro-sinistra. Nel 2001, infatti, la riforma del Titolo V proposta dal governo Amato passò in Parlamento con una maggioranza semplice di soli quattro voti (!), per giunta pochi giorni prima della scadenza della legislatura, e venne poi confermata in un referendum a cui partecipò soltanto il 34% degli elettori (due terzi dei quali approvarono)! Per evitare il ripetersi futuro di questi scandali del passato, è stato proposto che si indìca un’Assemblea Costituente che ripensi completamente le regole del gioco, adattandole ai tempi moderni, ma in maniera rispettosa delle opinioni di tutto l’elettorato, e non soltanto degli interessi di qualche partito temporaneamente al potere.
È chiaro che una tale Assemblea dovrebbe essere eletta in maniera rigidamente proporzionale, senza alcun sbarramento, per permettere la presentazione e la discussione delle proposte di riforma più varie e meditate. E dovrebbe essere costituita soltanto di persone che non ricoprono incarichi politici a nessun livello, per evitare appunto l’insorgere di quegli scandalosi conflitti di interessi che emergono quando i Parlamentari legiferano su argomenti che li riguardano direttamente, dai propri stipendi alle leggi elettorali. La nuova Costituzione dovrebbe ripensare alle radici i fondamenti della nostra nazione, e aggiornare le idee e i pregiudizi dei Padri Costituenti, che agivano e deliberavano in un momento storico in cui gli Stati Uniti ancora occupavano militarmente il paese, e la Chiesa Cattolica costituiva ancora il punto di riferimento religioso dei cittadini. Il mondo del 2022 non è più quello del 1948, nel bene e nel male, ma soprattutto gli elettori del 1946, che oggi avrebbero almeno 97 anni, sono ormai praticamente tutti morti. E, come diceva Thomas Jefferson nel 1789, a proposito della Costituzione americana, «la Terra è data in usufrutto ai viventi, e i morti non hanno poteri o diritti». I nostri antenati hanno avuto la loro Costituzione, molto più a lungo di quanto fosse sensato, ed è giusto che ora anche noi abbiamo la nostra: ma tutti noi, e non soltanto i politici di turno!
Originariamente pubblicato da La Stampa