di Luigino Bruni
«Questi genealogisti della morale si sono mai, sino a oggi, anche solo lontanamente immaginati che, per esempio, quel basilare concetto morale di ‘colpa’ ha preso origine dal concetto molto materiale di ‘debito’?». In questa famosa frase della ‘Genealogia della morale’, Friedrich Nietzsche sottolineava lo strettissimo rapporto che nella lingua tedesca esiste tra ‘debito’ e ‘colpa’, al punto di essere la stessa parola: Schuld . Stessa equivalenza e stessa parola le ritroviamo anche nella lingua olandese.
Due Paesi accomunati dal forte influsso e dall’eredità della Riforma Protestante, sebbene l’Olanda sia più calvinista e la Germania più luterana. Ma in generale in tutta la Bibbia il debito prima di essere una faccenda economica è faccenda morale e religiosa – ‘rimetti a noi i nostri debiti…’ lo troviamo al centro della prima preghiera cristiana.
È comunque indubbio che l’Umanesimo protestante abbia sottolineato di più, rispetto ai Paesi cattolici latini, l’equivalenza colpa/debito. Per ogni debito, ma soprattutto per il debito pubblico. Anche perché la ‘cultura della colpa’ è più tipica dei Paesi protestanti, mentre nei Paesi cattolici e latini è la ‘cultura della vergogna’ a dominare. Sotto le Alpi dei debiti ci si vergogna con chi ci conosce e ci vede (e quindi è bene che gli altri non conoscano e non vedano i nostri debiti), ma ci si sente meno in colpa. Non a caso in Italia i primi prestiti con un pagamento di un tasso d’interesse lecito furono quelli accesi per finanziare le spese pubbliche delle città medioevali, perché le spese del sovrano e quelle della Chiesa non erano viste solo come spreco, ma anche come magnificenza e come festa (i Papi, diversamente dalla Ginevra di Calvino, non hanno mai abolito le feste e i loro costi).
Ma se il debito è colpa, allora il debitore (persona o Stato) è colpevole. C’è anche questa antica equazione dietro la rigidità con cui soprattutto la Germania ha pensato, gestito e custodito il rapporto debito-Pil nell’Eurozona, e oggi nella diffidenza verso l’emissione dei cosiddetti Coronabond, dove trova nell’Olanda un grande alleato. Come non è un caso che dall’altra parte ci siano le ‘cattoliche’ Italia, Spagna e Francia. I politici, da una parte e l’altra del dibattito, sanno poco o quasi nulla della Bibbia, di Calvino e Lutero, ma, come mi ricordava sempre il mio maestro di filosofia citando lo psicologo Burrhus F. Skinner, la cultura è ciò che ti rimane dentro quando hai dimenticato tutti i libri che hai letto.
Hanno dimenticato le 95 Tesi di Wittenberg e il Libro del Levitico, ma non che il debito è una colpa – il linguaggio è anche il custode dell’archeologia dei concetti sepolti dalle civiltà.
Se l’Europa non vuole essere la grande vittima del coronavirus, i Paesi nordici devono essere più grandi del peso delle proprie parole. Non sarebbe la prima volta. Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo fascismi e nazismi abbiamo saputo dimenticare parole pessime e avvelenate, ancora molto fresche nel sangue del corpo dei popoli europei, e abbiamo generato il capolavoro della Comunità europea; una Comunità che non sarebbe mai nata se non avessimo dimenticato tutte le parole tremende e disumane che ci eravamo detti gli uni gli altri. Quel grande dolore fu capace di elaborare il lutto di alcune parole e ne inventò di nuove e di migliori.
Purtroppo, tra i dolori di questi giorni, c’è anche la scomparsa di molti degli ultimi testimoni di quella trasformazione di fratricidio in fraternità, che continua ad accorciare la nostra memoria già corta.
Anche su queste pagine abbiamo più volte distinto i patti dai contrat ti. Il contratto non è capace di dimenticare le parole di ieri per generarne di nuove; il patto sì, e se non lo fa muore in quanto patto – dopo questa crisi epocale potremmo facilmente ritrovarci con una Europa ridotta definitivamente a puro contratto commerciale.
Al tempo stesso, noi italiani siamo coscienti che nell’enorme debito pubblico accumulato in questi decenni una qualche nostra colpa c’è eccome. Lo sappiamo noi e lo sanno i nostri soci europei. Come conosciamo e conoscono la nostra evasione fiscale, la nostra ‘cultura’ civica, i nostri sprechi. Inoltre, come se questo non bastasse, l’Italia è appesantita da anni di segnali ambigui sull’Europa e sull’euro, da politici importanti che hanno pronunciato molte parole sbagliate e irresponsabili. Anche quelle parole oggi contano e restano. Le grandi crisi sono delle verifiche spietate della qualità morale della vita politica e civile di una società, quando la verità del dolore di oggi denuda tutte le parole di ieri. Le troppe vittime dell’intero continente possono distruggere il patto europeo o rigenerare una nuova Europa. Per questo ora dobbiamo tutti e insieme abbassare i toni, parlare di meno e con più mitezza, piangere tutti e insieme i nostri morti che possono unirci più dei vivi, assumere tutti e insieme impegni reciproci chiari e giusti.
Fonte: Avvenire
robyuan
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