di Giordano Stabile
Nel saggio Teoria dell’azione politica, il filosofo francese Raymond Aron si pone la questione dell’opportunità di denunciare i crimini di guerra commessi dal proprio campo, vale a dire l’Occidente. Siamo all’inizio degli anni Settanta, la guerra del Vietnam va verso la conclusione, i Pentagon Papers hanno rivelato le bugie delle amministrazioni Johnson e Nixon, rivelazioni che hanno contribuito alla decisione dell’America di ritirarsi e di fatto ammettere la sconfitta.
In qualche modo hanno anche contribuito a quella sconfitta. Ma Aron sottolinea che «come educazione civica e morale, è più utile pensare ai crimini di guerra di cui ci si è macchiati nel campo in cui ci si trova». Un punto molto attuale in questo momento, con i due terribili conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente. In maniera altrettanto attuale, Aron spiega che «la condanna morale si giustifica in ragione della sproporzione tra l’obiettivo e i mezzi impiegati». Si riferisce all’opportunità di usare l’atomica su Hiroshima e Nagasaki per costringere il Giappone alla resa, ma il principio è universale, come i diritti umani.
Proprio in base a questi principi liberali l’Occidente non esita a condannare anche i propri crimini, commessi da potenze europee o nordamericane, e dai loro alleati. E in qualche modo il campo avverso, l’alleanza tra Russia, Cina, Iran e altri Paesi dei Brics+, dal Brasile, al Sudafrica ai Paesi del Golfo, sfrutta questa opportunità.
Le istituzioni create per difendere i diritti umani sono adesso un nuovo fronte della guerra fra i due campi, come la Corte di giustizia internazionale dell’Aja. E le immagini che arrivano da Gaza sono destinate ad accenderlo ancora di più. Da una ong occidentale, Human Rights Watch, arrivano accuse durissime a Israele, che si legano in maniera indissolubile al massacro attorno ai camion di aiuti umanitari a Gaza City. «Da oltre due mesi – dice il direttore per l’area di Israele e Palestina, Omar Shakir – Israele priva la popolazione di Gaza di cibo e acqua, una politica incoraggiata o sostenuta da ufficiali di altro rango e che riflette l’intento di affamare i civili come metodo di guerra: è un crimine».
Un’indagine interna all’esercito israeliano cercherà di chiarire come si è arrivati a sparare a civili inermi e affamati. Il giudizio complessivo sull’operato dello Stato ebraico dopo il 7 ottobre arriverà invece, fra molti anni, dall’Aja. Al di là delle polemiche sulla parola “genocidio” il punto centrale resta “la sproporzione” delle azioni israeliane, che dovrebbero avere l’obiettivo di sconfiggere Hamas e punire i responsabili del massacro nei kibbutz. E invece sembrano andare molto oltre.
Human Rights Watch, altre ong e i relatori sudafricani delle accuse alla Corte di Giustizia, sottolineano come dirigenti israeliani, a partire dal ministro della Difesa Yaov Gallant, i ministri Benazel Smotrich e Itamar Ben Gvir abbiamo dichiarato la volontà di privare di “cibo, acqua, elettricità” la popolazione della Striscia, o di costringerla a “emigrare” verso l’Egitto o “altri Paesi arabi”. Questi propositi, espliciti, sono diventati realtà. Vanno denunciati e queste denunce non indeboliscono il nostro campo, come può indurre una lettura di stampo autoritario. Sono la forza dell’Occidente.
Fonte: La Stampa