di Francesca Scoleri
(WSC) Roma – “Ai primi di marzo con la Regione ci siamo confrontati ma non si potevano fare zone rosse, non si poteva fermare la produzione. Per fortuna non abbiamo fermato le attività essenziali, perché i morti sarebbero aumentati”.
Sono le parole senza capo né coda di Marco Bonometti, il presidente di Confindustria Lombardia che non sa quel che dice ma ci crede. Il disastro lombardo che abbiamo visto in questo ultimo mese, ha molti autori ed una costante: prima la produzione.
Da quando l’emergenza coronavirus ha avuto inizio, dalla Lombardia i ripetitori non conoscono sosta e, alla maniera dell’Istituto Luce, tentano il plagio con menzogne che oggi crollano come case di carta.
E’ vero o non è vero che la Lombardia è stata più colpita rispetto alla altre regioni in quanto, essendo un centro produttivo fra i più attivi, subisce l’inquinamento atmosferico che va ad incidere sulla diffusione del contagio?
Non è vero! Fino a quando studi approfonditi non affermeranno che la causa dell’ecatombe lombarda sia da ricercare in questi fattori non è vero! Affermarlo oggi non vuol dire solo mentire; vuol dire deviare l’opinione pubblica da scenari più plausibili.
E’ vero piuttosto, che questo centro produttivo non ha esitato ad anteporre i propri interessi al bene collettivo che richiede la Costituzione quando, all’Art.32 dice:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Oggi scopriamo che mentre avevano luogo le prime drammatiche conte di malati e morti, nel sottobosco industriale e politico, si pensava a come eludere il virus, i decreti d’urgenza ed ogni ostacolo al profitto.
L’asse era ed è perfettamente allineato: i politici lombardi puntano sull’eccellenza che zittisce ogni critica della serie “non preoccupatevi di quanti morti facciamo, saranno sempre meno che altrove perché il nostro è un sistema che regge, attrezzato e ineguagliabile”.
Dall’altra gli industriali: “non preoccupatevi di quanti morti facciamo, se fermiamo la produzione assisteremo a scenari peggiori”. Après nous, le déluge direbbero i francesi.
Questa la sostanza di menzogne sporche di sangue che stanno continuando a propagare nella speranza di superare indenni la fase del dopo, quella che li porrà sotto inchiesta per “Epidemia colposa”.
Politici ed industriali. Gli eterni amanti che si congiungono in “triangoli” inossidabili col terzo soggetto che fa più danni dei primi due ma che difficilmente finirà sul banco degli imputati: l’informazione confezionata da editori e giornalisti asserviti.
Il disastro che da febbraio immaginiamo tutti di vedere al sud, ha preso forma sotto i nostri disattenti occhi nella regione che si sarebbe rivelata la meno esposta di tutte se davvero avesse messo in atto le giuste tutele alla salute.
Verificare l’impressionante aumento di morti e contagi ad ogni settimana trascorsa senza adottare le misure necessarie non è difficile. Semmai doloroso e inaccettabile da parte delle famiglie coinvolte in questo olocausto offerto al capitalismo: quasi 10mila morti.
Il 22 marzo arriva il decreto che impone una stretta alle attività produttive. Il contenimento attuato con le precedenti misure continua a risultare insufficiente; le città sono ancora troppo popolate, i mezzi pubblici pieni ed insicuri e il distanziamento nei luoghi di lavoro, pura utopia.
Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, scrive al Presidente del Consiglio chiedendo di rispettare le priorità delle imprese ed esplicita richieste “a fronte del grande sacrificio che viene richiesto al nostro apparato produttivo”.
Ed intima: “Attenti ai contraccolpi in Borsa!”. “Valutare i necessari provvedimenti relativi all’operatività della Borsa e del mercato finanziario per evitare impatti negativi sulle nostre società quotate”. Si raccomanda infine, di “sciogliere il nodo legato al credito ed alla liquidità”.
Mai in un solo punto, ha offerto il sostegno della grande industria da lui rappresentata, al contrasto dell’emergenza sanitaria in corso eppure, non è il portavoce di piccole falegnamerie di provincia con mezzi e fondi limitati.
A piramide, tutti gli industriali si attivano sul territorio e in Lombardia, i fatti dicono che la Regione li ha accontentati sul punto cruciale: la produzione non si ferma. Si glissa cosi, in modo criminale, sull’istituzione della zona rossa nel bergamasco, il focolaio più grande d’Italia dove il contagio non accenna ad arretrare.
Ci fosse un moto coscienzioso di fondo, dinanzi a quasi diecimila anime perse, opterebbero per il silenzio e la solidarietà ma, non sarebbero loro, “i padroni”. L’asse si riallinea perfettamente. Keiword: Riaprire. Riaprire subito, riaprire tutto. Dopo Pasqua non ammetteranno più restrizioni.
Quei morti non sono mai esistiti; la produzione si deve riattivare a pieno regime e la politica può fingere – confidiamo ancora per poche settimane – di aver gestito tutto alla perfezione nonostante le vittime, la propaganda e tutte le imbarazzanti figure collezionate nel corso di questa emergenza.
Da ricordare, il pimpante Giulio Gallera che ammette di aver appreso in ritardo dell’esistenza della legge regionale che avrebbe permesso alla sua giunta di proclamare la zona rossa nel bergamasco; Mah si tranquillo, solo qualche migliaio di morti in più per la vostra – nella migliore delle ipotesi – “ignoranza”.
Tutto è bene quel che finisce bene, sembra dire Fontana in un pacato ed infantile mea culpa che evidenzia “si però è anche colpa del governo” e, poche ore fa, si lascia andare ad un leggero “È una giornata bellissima, meteorologicamente, ma è bellissima perché i numeri anche oggi stanno migliorando”.
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Avrebbero potuto migliorare settimane fa con un altro governatore a capo della Lombardia e con una classe dirigente che guarda agli interessi delle collettività non a quella dei miliardari che, supportando poderose campagne elettorali, si guadagnano la sottomissione di protocolli e leggi.
Non sappiamo come e quando riapriranno le attività produttive, il domani rappresenta una incognita su tutti i fronti e quello industriale non è il più determinante nonostante l’egocentrismo che riversano su di esso a causa dei capitali che muove. Qualcuno si illude ancora che una vita umana valga più di una commessa.
Per oggi, potremmo accontentarci di angoli di verità che cercano di farsi strada nella colossale menzogna del “purtroppo è andata cosi”, perché non sarebbe andata cosi con misure di contenimento degne di essere definite tali. Non sarebbe andata cosi e confidiamo sia messo nero su bianco da un tribunale.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su ilformat.info, ringraziamo il sito e l’autrice.