di Tomaso Montanari
(WSC) ROMA – Il mondo si avvia a passo veloce a una fase di guerra, vedremo quanto fredda, tra due blocchi, uno guidato dall’America e uno dalla Cina, ma a leggere i grandi giornali governativi e interventisti la possibile crisi di governo avrebbe come causa i messaggi di Draghi a Grillo su Conte. La luna e l’unghia di un mignolo: perché la vera ragione per contestare questo Governo fino ad uscirne, e se possibile a farlo cadere, è ben più grave, e gravida di conseguenze. Ed è il ruolo dell’Italia nello scontro senza precedenti preparato da una Nato ora apertamente non più alleanza difensiva, ma braccio armato di un aggressivo e risentito primato occidentale che trasforma gli interessi in ideologia. Il vertice di Madrid è stato davvero storico, ma non nel senso sbandierato dai giornali genuflessi al soglio draghiano. Lo è stato perché mette le basi della più grave instabilità internazionale mai registrata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il teorema è fin troppo chiaro: l’Occidente e i suoi valori sono in pericolo. Il nemico è oggi la Russia, ma già domani sarà la Cina, individuata con rara esplicitezza come la principale minaccia al nostro sistema. Il piano su cui la Nato pone la sua propaganda è quello etico: se Putin vince, si è detto, sono la democrazia e la libertà ad essere in pericolo. A maggior ragione lo si sosterrà contro la Cina. Questa retorica mette l’Occidente in conflitto frontale con il resto del mondo: un resto del mondo maggioritario sia per popolazione sia per estensione geografica. E, in prospettiva assai ravvicinata, maggiore anche da un punto di vista economico. Le conseguenze sono incalcolabili: la partita per il definitivo monopolio occidentale del mondo rischia di esserci fatale.
L’Italia ha di fronte a sé due strade. La prima è quella di un atlantismo prono: quello proclamato con toni caricaturali dal ministro Di Maio, entusiasta, come tutti i neofiti, del suo nuovo ruolo di garante del sistema che era stato eletto per cambiare. La seconda è quella di un multilateralismo che appartiene alla nostra storia politica, e che ha a che fare sia con la posizione dell’Italia nel Mediterraneo, sia con la presenza della Santa Sede e (un tempo) di una forte sinistra. Oggi quella sinistra non esiste più: ma potrebbe essere il Movimento 5Stelle di Conte a accettare per sé quell’eredità politica, provando a indicare una via diversa da quella consacrata dal vertice NATO. Non la via binaria dello scontro tra civiltà, ma invece quella di una decostruzione dei blocchi dall’interno (innanzitutto ridando fiato a una prospettiva europea non schiacciata sul dominio americano, e dunque opponendosi in Parlamento all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia) e di un dialogo a trecentosessanta gradi. Attenzione: non è una via anti-occidentale, ma una critica interna a un Occidente che non rispetta affatto i valori per i quali si dice pronto a scatenare la terza guerra mondiale, con le sue possibili conseguenze nucleari. Penso alla dignità della persona umana: che dai tempi della Rivoluzione francese (e prima da quelli del Vangelo) non può essere usata come un mezzo, ma è sempre e solo un fine. Il che vuol dire che la guerra non è mai la soluzione, ma solo e sempre il peggiore dei mali. E che non possiamo fare la coalizione del bene e della democrazia sulla pelle del popolo curdo. Così come la competizione internazionale non si può fare sulla pelle dei lavoratori. In altre parole, significa tenere accanto alla libertà la giustizia sociale, alla diversità l’eguaglianza, alla libertà del mercato l’interesse collettivo e generale della società.
Politica interna e politica internazionale sono indivisibili: una democrazia che davvero pratichi questi valori al proprio interno non ha alcun interesse alla guerra. Sono, viceversa, le democrazie in profonda crisi dell’Occidente a mettersi l’elmetto, annunciando al mondo il ritorno di una sua spaccatura in due blocchi. Del resto, solo un Occidente che davvero pratichi i valori in cui dice di credere può avviare un confronto vero e serrato, fatto innanzitutto di conoscenza reciproca profonda, con Cina e Russia che porti infine a una loro evoluzione. Perché è del tutto evidente che quei sistemi sono disumani e ingiusti (in modo diverso da come anche il nostro lo è): ma la via del loro cambiamento non può passare per una guerra mondiale fondata sul presupposto di una superiorità etica dell’Occidente.
Ora, non è di questo che dovremmo parlare, ovunque e perfino in Parlamento? Non è forse un nodo che trascende gli effimeri rapporti personali tra i nostri leader? Non è su questo che bisognerebbe cercare il consenso della parte del Paese che non vuole la guerra permanente? E dunque non è su questo che bisognerebbe decidere se restare o non restare in questo Governo, che la sua scelta di guerra l’ha già fatta e la celebra ogni giorno? Se il Movimento 5Stelle cerca una questione sulla quale rompere, per tornare a parlare al Paese di un cambiamento radicale, dubito che ne possa trovare una più grande, e più urgente.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Volere la luna, che ringraziamo
robyuan
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Così va il mondo. Con questo occorre confrontarsi non con i voli di pindaro o con le massime di Socrate.
Guido Rattoppatore
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Si continua ad invocare “Stabilità”. Lo si fa da anni. La chiede Letta, la chiede Di Maio, paventando la fine del mondo se dovesse cadere il governo Draghi.
Il ritornello è sempre lo stesso: il governo può non piacere e può essere privo di consenso, ma ve lo dovete tenere perché altrimenti l’Europa blocca i soldi, perché altrimenti l’inflazione arriva all’8%, altrimenti arriva la recessione.
Così si giustifica la continua sospensione della democrazia. Ma l’argomento non funziona più.
L’armageddon è già in corso, è già tra noi.
La stabilità è ancora un valore?
Non lo è più, perché stabilità significa morte lenta, agonia del paese. Stabilità significa che andrà sempre peggio, ogni giorno peggio, ogni giorno prezzi più cari, benzina più cara, e se la stabilità continua l’inverno sarà terribile, davvero freddo, si dovrà razionare l’energia.
Stabilità significa tenere su un governo che non è all’altezza, su nessun punto: dalla politica estera alla politica industriale a quella energetica per non dire dell’istruzione, ormai allo sbando.
Oggi essere responsabili significa dire basta a questa stabilità, che tra poco somiglierà al rigor mortis.
Chi, con qualche manfrina inutile, sostiene il governo è colpevole dello sfascio del paese, che sarà uno sfascio storico, che ci porteremo dietro per anni.
La Germania sta per implodere. Se non esporta non produce, e poiché è, piaccia o meno, la locomotiva d’Europa, il suo rallentamento provocherà effetti a catena su tutti. E questo ci dice che questa guerra è la maniera in cui gli USA hanno regolato i conti con la UE, mettendo a posto la bilancia dei pagamenti. Biden ha imposto ciò che Trump chiedeva e minacciava. Tra i due non c’è differenza. Solo Biden è più sagace.
Bisognerà ricordare chi ha sostenuto il governo che sta facendo da becchino al paese, che sta distruggendo il futuro delle giovani generazioni.
Perché tra poco, signori, oltre a tutto il resto, arriveranno i tagli, e che cosa sarà tagliato è chiaro: il welfare. I debiti si dovrà iniziare a pagarli. Si privatizzerà tutto il privatizzabile
Vogliamo aspettare l’asteroide? Dobbiamo vederlo sulle nostre teste prima di realizzare cosa sta accadendo?