Ricordate i bei discorsi dopo la crisi finanziaria del 2008? Ci dissero, allora e lo ribadirono per molti anni a venire, che la lezione era stata imparata, e che non ci sarebbero state più bolle generate da un ricorso sconsiderato al debito privato. Perché, come sappiamo, la crisi del 2008 fu generata da un meccanismo perverso, che spinse anche gli americani meno abbienti a indebitarsi per comprare case che in realtà non potevano permettersi. Quel meccanismo rappresentava la punta estrema di un sistema incentrato sull’indebitamento come motore della crescita economica americana. Era una bolla sulla bolla.
Banche centrali, date i soldi a noi cittadini e non alle banche
“Mai più!”, giurarono. E quando le banche centrali vararono il Quantitative Easing ovvero quando stamparono quantitativi enormi di moneta per sostenere le banche in crisi e immettere liquidità nel sistema, ci dissero che era a fin di bene e che non avrebbe comportato un ritorno alle vecchia abitudini. Ebbene, si sbagliavano o, forse, mentivano. Pochi giorni fa, una fonte insospettabile, il Financial Times, ha rivelato che ogni tipo di debito americano – pubblico, aziendale, familiare e personale non garantito, finanziamenti per l’acquisto di auto, prestiti agli studenti – è a livelli record.
Gli americani sono gravati dalla cifra astronomica di 1 trilione di dollari in debiti sulle carte di credito e di un importo analogo in prestiti agli studenti e in leasing automobilistici, che come i vecchi mutui subprime sono storicamente di bassa qualità e dunque particolarmente rischiosi.
Cito ancora il Financial Times: le aziende americane hanno aggiunto 7,8 trilioni di debito dal 2010 ma la loro capacità di ripagarlo è ai livelli più bassi dal 2008, secondo quanto rileva il Fondo Monetario Internazionale. Tenetevi forte: il debito aggregato negli Usa (pubblico e privato) è pari al 350% del Prodotto interno lordo.
Sì, avete capito bene. Siamo tornati alla situazione del 2008.
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Questo significa che siamo alla vigilia di un nuovo tracollo finanziario? Difficile dirlo. Alcuni economisti invitano a non esagerare e affermano che la situazione è sotto controllo, soprattutto per quel che riguarda i prestiti studenteschi. Il Financial Times invece, nello stesso articolo, appare meno rassicurante e accenna alla necessità di cancellare molti debiti inesigibili, scaricando ancora una volta i costi sullo Stato. In ogni caso, sapendo che i tassi di interesse sono ai minimi storici, non c’è da star tranquilli. Bastano o un evento imprevisto o alcuni aumenti dei tassi per provocare simultaneamente molti fallimenti personali e dunque perdite ingenti alle banche; con il rischio di generare un effetto a valanga oggi largamente sottostimato (come nove anni fa con i subprime). Dio non voglia.
Il punto, però, è un altro. Chi scrive è da sempre un convinto sostenitore dell’economia di mercato e del capitalismo ma nella sua versione sana; quella in cui il ricorso al debito è contemplato, per certi versi necessario, ma in proporzioni limitate e volto a creare ricchezza vera.
Qui, invece, ci troviamo nella situazione in cui la prima economia al mondo ha di fatto stravolto il senso del capitalismo facendolo diventare “debitalismo” ovvero un’economia basata non più sull’accumulo di capitale ma di debito, non solo statale ma soprattutto privato, in proporzioni inimmaginabili.
E’ un tema che ho affrontato altre volte in passato e che oggi, purtroppo, trova nuovi riscontri, ad esempio nel coraggio intellettuale dell’ex assistente di Reagan, il liberale Paul Craig Roberts, che denuncia da tempo queste storture, e in alcune inchieste giornalistiche. Saint Simone su Counterpunch (tradotto in italiano dall’ottimo sito Voci dall’estero) racconta, partendo dai giganteschi prestiti agli studenti, come la classe media americana stia morendo sotto il peso di debiti che non riuscirà mai a ripagare. Gli studenti sono i nuovi NINJA (No Income, No Jobs, No Assets): nessun reddito, nessun lavoro, nessun patrimonio. E anche quando trovano un impiego, le commissioni e gli interessi che devono pagare sul debito sono talmente alti che non riescono quasi mai ad estinguerlo. Pochi di loro ce la fanno, gli altri diventano moderni peones o, se preferite, moderni schiavi.
Il problema è serissimo, strutturale e ricorrente. Riguarda gli Stati Uniti ma in misura crescente anche molti Paesi europei, dove il ricorso all’indebitamento come surrogato al reddito è sempre più diffuso. Ed è un male, che conduce alla degenerazione del capitalismo e alla diffusione della povertà.
Dovrebbe preoccupare tutti noi. E invece…
di Marcello Foa
Questo articolo e’ stato pubblicato da Corriere del Ticino, che ringraziamo