di Max Brod
(WSC) ROMA – Si fa un gran parlare di allargamento della Nato ed è fatalmente naturale in tempi di guerra, si parla però assai meno di una prosa che sta prendendo piede e che dovrebbe starci molto più a cuore ovvero lo strisciante allargamento dell’UE.
Assistiamo infatti ad un proliferare di offerte di ingresso nell’UE rivolte a paesi non propriamente europei per etnia, tradizione, collocazione geografica, sistemi di governo. Dopo la naturale candidatura dell’Ucraina del cui ingresso nella UE per la verità si parlava anche prima dello scoppio della crisi attuale, la settimana scorsa l’Italia ha confortato la Georgia assicurandole il pieno appoggio alla candidatura UE. Ora sebbene apparentemente non costi nulla pronunciarsi a favore di questo o di quel Paese, ben sapendo che la realpolitik impone tempi lunghi e procedure severe, tuttavia il fenomeno merita attenzione.
Ci sono innanzitutto considerazioni geografiche. Vorrei che qualcuno mi spiegasse quali sono i confini europei ad Est. Ad Ovest per fortuna c’è l’Atlantico e non abbiamo di questi problemi. Ad Est, si diceva una volta, il confine naturale è rappresentato dagli Urali. Ma gli Urali sono conficcati nella sterminata pianura russa dunque la Russia sarebbe a pieno titolo un candidato UE ma temo che di questi tempi non sia opportuno parlarne.
Bene, se le cose stanno così tutti i paesi a sud ovest degli Urali, giù fino alla Turchia che però non è in UE e non credo lo sarà a breve, avrebbero le condizioni minime per entrare in UE se lo volessero. I paesi in questione sono Azerbaigian, Armenia e appunto Georgia. E vediamo se prima o poi qualcuno non pensi anche di mettere dentro il Libano, paese tecnicamente in default. In fondo affaccia sul Mediterraneo ed è vicino a Cipro che è già nell’UE per cui mai dire mai.
Ci sono poi considerazioni tecnico-finanziarie. Che interesse ha l’UE ad accogliere questi paesi? Al di là di qualsiasi ragionamento su etnia, cultura e ordinamento statale che pure imporrebbero qualche seria riflessione, si tratta di paesi per lo più poverissimi, la Georgia ad esempio ha un Pil pro capite 2020 di 4.500 dollari Usa.
L’UE è una comunità di interessi e aspirazioni politiche e socio-economiche concepita sulla necessità di condividere scambi commerciali, di impresa e lavoro, culturali, insieme a filiere di buon governo e bilanci statali in regola che permettano di elevare il livello e la qualità di vita dei cittadini comunitari. Non è la somma che fa il totale direbbe Totò. Veramente si crede che questi paesi possano portare un qualche valore aggiunto alle istituzioni europee?
Stare in Europa inoltre pesa e costa sui bilanci statali dei paesi più ricchi. Al netto dei contributi straordinari approvati negli ultimi due anni a seguito della pandemia, Germania, Francia, Italia, Olanda, Danimarca versano circa un terzo in più di quanto non ricevano in cambio. Quasi tutti gli altri godono di saldi ampiamente positivi tra dare e avere con picchi del + 500% per Ungheria e Bulgaria e del + 300% per Polonia, Romania e Slovacchia (Fonte Tpi).
Se dunque sono evidenti i vantaggi per chi entra non altrettanto lo sono per i paesi già membri che accolgono. Se poi l’UE sta per diventare un’altra cosa, un maxi ente di solidarietà e welfare verso terzi o magari un argine ad est in funzione anti russa che abbiano la compiacenza di dirlo chiaramente, noi europeisti vecchia maniera ne prenderemo le distanze.
Quanto all’atteggiamento italiano di accoglienza, se ricordiamo quante volte in passato l’Italia è stata oggetto di diffide e ramanzine sui conti pubblici da parte del Consiglio UE, oltre al consueto buonismo mi pare di cogliere un senso di sollievo nel pensare che allargando il numero dei paesi membri saranno altri in futuro a beccarsi le reprimende di Bruxelles. Forse però non è più tempo di reprimende per nessuno.