di Alfonso Tuor
È ora di uscire dal vicolo cieco costituito da un settore finanziario ipertrofico e da continue iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali per contenere le crisi finanziarie ed economiche. In questo modo non si esce da un lungo periodo di crescita economica insoddisfacente.
Ad esempio, lo scossone di inizio agosto dei mercati finanziari non è stato riassorbito dalle «libere» forze di mercato, ma dal «pronto soccorso» di governi e banche centrali. Infatti immediatamente (ossia martedì 6 agosto) la Bank of Japan ha annunciato che sospendeva il programma di ritiro della liquidità iniettata nei mercati annunciato la settimana precedente, gli istituti di emissione giapponese e americano sono intervenuti per abbassare il tasso di cambio dello yen che si era impennato per la «disperata» chiusura dei prestiti in yen conclusi da molti operatori finanziari per poi cambiarli in altre monete e quindi investirli in attività ad alto rendimento e la Bank of Japan infine ha aiutato la borsa di Tokyo a risollevarsi.
Tutto ciò non è una novità: è dalla seconda metà degli anni Novanta che le «ambulanze» di governi e banche centrali sono in perpetuo stato di allerta per soccorrere il sistema finanziario. Il motivo evocato è che un suo crollo scatenerebbe una gravissima crisi economica.
Posta in questi termini la questione non ha alternative: occorrerà continuare a salvare il sistema finanziario, anche perché le nuove regolamentazioni si dimostrano invariabilmente non adeguate a garantirne la sicurezza.
La domanda corretta è tuttavia un’altra: un sistema finanziario, che non è composto solo dalle banche ma anche dal «sistema bancario ombra» (hedge fund, fondi Private Equity, fondi di investimento, fondi di fondi di investimento ecc.) in continua espansione, contribuisce alla crescita dell’economia reale e all’aumento dei salari reali dei lavoratori? La risposta è inequivocabilmente no.
Lo dimostra l’analisi degli ultimi decenni caratterizzati da una crescita mediocre che ha comportato una diminuzione del benessere di grandi segmenti della popolazione, l’esplosione delle diseguaglianze e la fragilità delle finanze pubbliche.
Il motivo è semplice, molti governi dei Paesi occidentali, influenzati dal sempre maggiore potere della finanza, non si sono concentrati sulle riforme strutturali necessarie per aumentare la produttività e la crescita reale dell’economia. Anzi, questi governi, incapaci di vedere che le ripetute crisi erano il frutto di fallimenti strutturali, hanno optato per la via più facile e più breve: hanno spinto le banche centrali a stampare nuova liquidità ad un ritmo che nessuno mai avrebbe potuto immaginare, finanziando il crescente debito pubblico e inondando di soldi freschi i mercati finanziari.
Queste politiche non solo non producono i risultati sperati, ma sono insostenibili. Alcuni esempi: gli Stati Uniti chiuderanno quest’anno fiscale con un deficit pubblico pari al 7,5% del PIL e un debito pubblico salito al 120% del PIL. Ma come sta succedendo nei Paesi europei, non si vede l’effetto moltiplicatore della spesa pubblica, che dovrebbe rilanciare la crescita economica.
A livello microeconomico un segnale chiaro dell’eccesso di dollari negli USA è la corsa degli operatori americani ad acquistare squadre di calcio in Europa. Infine un altro esempio ed è quello del Giappone che da più di un ventennio stampa yen e tiene i tassi di interesse a zero. Ebbene ora nel Pase del Sol Levante è riapparsa l’inflazione, ma non sa come ritirare gli yen stampati, come ci ha ricordato la crisi dell’inizio di questo mese.
In pratica, la combinazione di crescente peso dei mercati finanziari, di continua stampa di moneta da parte delle banche centrali e di finanze pubbliche sempre più fragili è esiziale. Non è assolutamente facile uscirne per motivi politici (nessuno governo ha intenzione di mettersi contro il sistema finanziario), poiché dovrebbe essere un processo di lunga durata fatto di regolamentazioni serie, di un aumento della pressione fiscale (oggi il fisco è più severo sul reddito da lavoro rispetto a quello frutto di investimenti finanziari) e infine occorrerebbe una difficile concertazione internazionale.
Quindi, una svolta sembra più un’illusione che una svolta, ma ogni tanto la storia ci mette di fronte a crisi ineluttabili che costringono ad un radicale cambiamento politico.
(segnalato da Nakatomy)
Questo articolo è stato originariamente pubblicato con il titolo “Nei fatti l’illusione di una svolta economica” dal Corriere del Ticino, che ringraziamo