2017: potrebbe essere l’anno della Fuga (quantomeno dei mercati finanziari) dall’Europa?

Nel 1997 era Fuga da New York, ma i tempi cambiano ed il 2017 potrebbe essere l’anno della Fuga (quantomeno dei mercati finanziari) dall’Europa ? Il prossimo anno ricorre …

Nel 1997 era Fuga da New York, ma i tempi cambiano ed il 2017 potrebbe essere l’anno della Fuga (quantomeno dei mercati finanziari) dall’Europa ?

Il prossimo anno ricorre la “maledizione” degli anni del 7:

1987: crollo Wall Street
1997: tigri asiatiche
2007: subprime
2017: ?

Trump 33%
scad. elettorali europee 35%
Italia 26%
Isis 6%

Molti utenti, tentando di indovinare quale sarà la fonte di stress per il 2017, hanno votato le scadenze elettorali Europee, altri con maggior focus domestico hanno indicato l’Italia (ricordiamo la scadenza del referendum costituzionale che secondo alcuni potrebbe portare, in caso di vittoria del NO, alla caduta del governo e relativa fase di incertezza politica).

In effetti l’Europa ha una lista degli impegni piuttosto fitta:

  • Tensioni geopolitiche nei paesi ai confini dell’Unione
  • Sicurezza interna e vulnerabilità agli attacchi terroristici
  • Crisi dei migranti
  • Carenza di crescita economica
  • Crisi del sistema bancario
  • Gestione della Brexit

Come substrato comune c’è il conflitto forse insanabile tra democrazia, sovranità nazionale ed integrazione economica. Per far spazio a due qualunque di questi elementi sembra necessario dover sopprimere il terzo. La mancanza di possibilità e/o di volontà da parte della politica nel compiere scelte decisive in merito sono alla base di buona parte dei problemi europei degli ultimi anni.

Per fare un salto avanti in direzione democratica e preservare i benefici derivanti dall’integrazione economica e del libero scambio, le forze politiche dovrebbero sacrificare la sovranità nazionale, e allargare lo spazio di rappresentatività degli elettori a tutto l’orizzonte eleggibile, accorciando le distanze tra Bruxelles ed i cittadini. In altre parole dovrebbero dichiararsi per lo più superflui, o comunque autolimitare la loro influenza, in qualità di rappresentanti nazionali.

Ma quale tacchino organizzerebbe la festa del Ringraziamento? Periodicamente ci ritroviamo, più o meno in tutta Europa (si vedano i recenti risultati di AfD in Germania), politici che abbinano la democrazia alla sovranità, respingendo la globalizzazione. La percezione media degli elettori è infatti che l’integrazione economica, la globalizzazione, abbia portato più danni che benefici. Difficile però andare concretamente su sentieri di estremo isolamento dall’economia mondiale, sullo stile di Paesi come la Corea del Nord, cosicché chi eccede con le “tirate” sulla sovranità poi si domanda “what we’ve done?

Il mestiere del politico è sempre più difficile: da una parte bisogna tranquillizzare sulle prospettive di sovranità, dall’altro lavorare sui progetti di unione bancaria, fiscale, ed infine politica. Mentre la danza inconcludente prosegue, la gestione della situazione di crisi è lasciata per lo più a soggetti non eletti, come la BCE o la Commissione UE (e talvolta la Corte Costituzionale tedesca).

Se qualcosa viene fatto, in ordine all’obiettivo di riaggiustamento dei bilanci, e di gestione dei pesanti debiti pubblici, è il taglio degli investimenti -la voce più semplice- (in area € gli investimenti pubblici sono scesi del 13% dal 2009 a oggi) a danno della crescita e di conseguenza alimentando il disagio sociale che si trasforma in istanze populiste, in una sorta di circolo vizioso.

L’elettorato, cosciente o meno dell’incompatibilità delle tre opzioni, finisce così sempre più per preferire l’abbandono dell’integrazione economica o della globalizzazione tout-court, pur di non rinunciare a democrazia e sovranità. Il recente impantanamento, sembra definitivo, del TTIP ne è l’ennesimo segnale.

Come dice bene l’amico Carlo Piana

Le posizioni noeuro o brexit sono un misto di paura, nostalgia e ricerca della soluzione semplice a problemi complessi. Oggi si sta male, se va avanti si va peggio, prima si stava meglio, torniamo a prima. Mi ricorda una popolazione delle isole del Pacifico trasformata in base aerea degli USA, cosa che portò incredibile prosperità. Finita la guerra, sparirono americani e prosperità, così crearono enormi aerei di legno nella speranza che tornassero entrambi. Per noi è la Lira, per UK è l’Impero.

Alle crescenti situazioni che richiederebbero risposte a livello europeo, gli stati reagiscono con manovre ispirate all’interesse nazionale. Che si tratti di piani per investimenti o di politiche dei migranti, quello che si sta sfaldando sempre più è lo spirito di cooperazione che costituisce da sempre il collante del progetto europeo.

A questo si aggiunge la tendenza demografica: l’invecchiamento della popolazione porterà l’Europa ad avere 9 dei primi 13 Stati per età media nei prossimi anni. Tra 15 anni, secondo uno studio dell’agenzia di rating Moody’s, la popolazione mondiale in età lavorativa sarà la metà rispetto a quella dei 15 anni passati, a danno della potenzialità e di crescita ed in aggravio della pressione fiscale. Questo potrà generare ulteriori spinte protezioniste, se non anche xenofobe. Norbert Hofer è tra i favoriti per la vittoria elettorale in Austria nel prossimo ottobre, lo stesso mese in cui si terrà un referendum sulla questioni migranti in Ungheria.

Un altro referendum, sulla riforma costituzionale, arriverà poco dopo in Italia e metterà in discussione la stabilità politica del BelPaese. Nel 2017 avremo elezioni politiche in Olanda, Repubblica Ceca, Francia e Germania. E’ ragionevole pensare che il peso delle forze euroscettiche acquisirà maggior peso e arrivando anche a governare uno o più paesi del Vecchio Continente, rendendo ancora più difficile che si trovi lo slancio per politiche coordinate di libero mercato e integrazione per spingere la produttività e contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione.

Nel caso, tutto questo non avverrà senza che i mercati registrino le loro “reazioni”…

di Andrea Boda

Fonte: PianoInclinato

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